recensioni foglianti
Atlante delle sirene
Agnese Grieco
il Saggiatore, 343 pp., 28 euro
Solo agli atlanti riesce tanto bene d’essere uno strumento (un luogo?) d’ordine e disordine, conoscenza e scoperta, mappatura e immaginazione, contenimento e pungolo. A fare un atlante delle sirene, creature fuggevoli, di paradosso, di conoscenza, di inghiottimento, non ci aveva mai pensato nessuno ed è comprensibile, visti i guai che comporta l’impossibilità di afferrarle. Eppure, era necessario. Perché, scrive Agnese Grieco nel suo Atlante delle Sirene, esse “sono figure altamente ermeneutiche: ogni volta bisogna rileggerle”. Rileggere ogni volta, per tracciare e capovolgere, è un’operazione possibile solo con un atlante. E’ diventato importante orientarsi tra i simboli che le sirene scortano e incarnano, perché stanno invadendo tutti gli spazi della nostra immaginazione. E’ un’invasione pacifica e festosa, e poiché non sono state mai creature pacifiche o festose, dobbiamo chiederci di cos’è segno questo paradosso, prima di ritrovarci fregati, annegati di colpo. Cosa vogliono? Vengono in pace o in guerra? Per attaccarci o per difenderci? Scrive Grieco che alla natura abbiamo messo un bavaglio e quindi alle sirene, che della bestialità sono spirito e voce, è toccata una sorta di addomesticamento che le snatura. E’ vero e innegabile. Tuttavia, con una concessione laica al mistero, possiamo forse spingerci a credere che il loro ritorno sia una richiesta d’aiuto e un avvertimento, perché – lo cantava Lucio Dalla – “stanno uccidendo il mare”. Sotto al titolo, sulla copertina dell’atlante – che è bellissimo, pieno di figure, e versi, e notizie, e miti, e note – è scritto “viaggio sentimentale tra le creature che ci incantano da millenni”. Poi s’apre il libro e c’è il prologo, che fa: “Scrivere di sirene significa ascoltare, mettersi in ascolto”. Guida la ricerca di Grieco questa intuizione semplice della sola cosa che si può fare, quando si ha a che fare con loro, cioè ascoltarle, che siano iguane, pescioline, uccellacci, demoni, voci d’abisso, menzogne, fischi (syrizo, cioè zufolare), malie (seira, cioè corda, laccio, dunque qualcosa che avvince), maschi o femmine. E non è detto che ascoltarle ci aiuti a capire, ma è questo il punto delle sirene: il disinteresse e la sottrazione al senso, al potere, alla configurazione razionale, all’ossessione per la traccia antropomorfica. Grieco traccia una storia della metamorfosi delle sirene e, soprattutto, del bisogno che abbiamo avuto di loro, quale significato abbiamo assegnato al loro ibrido e perché. E’ brillante il modo in cui ci conduce a Kant, che stabilisce che di sirene deve occuparsi la zoologia, e al Novecento che, con Kafka e Brecht, comprende che Ulisse non le ha sconfitte, smonta il mito della seduzione e chiarisce che la sirena pone la condizione imprescindibile affinché l’arte si compia: la sordità dell’artista al senso comune e “la libertà di giudizio del destinatario del messaggio e la sua capacità sensibile di ricezione”. Sono tornate le sirene a dirci quanto stiamo sbagliando con il mare, come stiamo rendendo impossibile l’arte e con quanta cera ci otturiamo le orecchie, presumendo, invece, di essere più vigili che mai.
ATLANTE DELLE SIRENE
Agnese Grieco
il Saggiatore, 343 pp., 28 euro
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