Giorni luminosi
di Aharon Appelfeld, Guanda, 280 pp., 19 euro
Theo è sopravvissuto all’Abisso. Il giovane ebreo austriaco, reduce dai campi di concentramento, decide di tornare a casa, nella piccola Strandberg, con la speranza di ritrovare i genitori e i luoghi dell’infanzia perduta. Abbandona – non senza sensi di colpa – i compagni di sventura ai quali deve la vita, e si incammina. Sarà una marcia lunghissima, centinaia di chilometri, per settimane. Lungo il percorso, la mente di Theo vaga nella rievocazione dei “giorni luminosi”, la stagione dell’innocenza precedente all’abominevole sofferenza patita. Theo ricorda le mille gite con la madre, donna segnata da una tara psichica, che lo portava a visitare chiese e conventi cristiani, anche a costo di fargli saltare la scuola, pur di insegnargli ad apprezzare la spiritualità, le icone, la musica di Bach. Theo ripensa al padre, chiuso nella sua libreria di paese, preoccupato di non riuscire a racimolare i soldi che poi la moglie avrebbe sperperato nei viaggi. Il lettore intuisce presto che l’idea di rivederli è illusoria, Theo ne sarà consapevole solo per gradi, attraverso un procedimento introspettivo.
Il viaggio del protagonista è costellato da diversivi e imprevisti, incontri casuali e soste obbligate che ne rallentano il cammino: dei profughi accampati, una ex fidanzata del padre piagata da ferite incurabili, viandanti ostili, altri profughi, altri accampamenti. La grande violenza è spenta ormai, solo occasionalmente si accendono qua e là, come sul finire di un temporale, gli ultimi lampi di una stanca vendetta contro ex guardiani e collaborazionisti.
Il ritorno alla realtà è un ingranaggio rugginoso, inceppato dal male. Come in un sogno, Theo si muove a fatica, trattenuto da fili invisibili: tutto è incerto, vago, indaginoso. Nella sua mente, lesionata dalle brutalità subite, il presente si confonde con i ricordi, i ricordi con i sogni e i sogni con gli incubi. La circolarità di questo procedimento narrativo e l’atmosfera rarefatta avvolgono il lettore, che si lascia trasportare in un dolente processo di ricostruzione. “Qualche giorno prima le aveva chiesto in sogno se ce l’aveva con il padre di lui. Madelaine aveva risposto con una sola parola: no. E’ disumano, le aveva detto Theo. Madelaine l’aveva guardato e aveva detto: certe cose si svolgono in modo strano, e noi fatichiamo a capirne il significato. Io, comunque, non ce l’ho con Martin. La tua è rassegnazione?, aveva insistito Theo. E’ un bisogno incomprensibile che ci accerchia, aveva risposto Madelaine. Dobbiamo accettare l’incomprensibile come parte di noi. Senza protestare?, aveva domandato ancora Theo. L’incomprensibile è più forte di noi. Dobbiamo accettarlo così come accettiamo la nostra morte”.
Il romanzo si chiude con uno spiraglio di speranza: torneremo a unirci fra noi, ad aiutarci, a solidarizzare. “Che cosa lo aveva indotto ad abbandonare i suoi compagni e a partire da solo? Era un enigma che non aveva ancora risolto, e che rispuntava ogni volta. (…) Ora, chissà perché, gli sembrava che i suoi compagni di baracca lo avessero perdonato”.
GIORNI LUMINOSI
Aharon Appelfeld
Guanda, 280 pp., 19 euro
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