Dostoevskij
di Maria Candida Ghidini, Salerno, 320 pp., 21 euro
Maria Candida Ghidini non abbonda di aggettivi. Al contrario, ne è parca: da professore universitario che si rispetti, approfondisce Dostoevskij con andamento argomentativo. Tuttavia i due aggettivi, dal forte impatto emotivo, ci sono, e chiunque abbia letto e amato I Fratelli Karamazov, I Demoni, Delitto e castigo e altri capolavori del nostro, avrà la sensazione di ritrovarsi di nuovo nei dubbi ribollenti di quelle pagine: il grande romanziere scrive in modo enigmatico e magmatico. Egli non mostra l’andamento largo di un Tolstoj, dalle descrizioni vaste come le lande della Russia. Ti costringe a riflettere a ogni passo; ti ingarbuglia le idee, ti mette di fronte a rompicapi di coscienza senza mai consolarti con soluzioni facili. Lo dicono un filosofo romanziere, come dar loro torto? Ghidini, che insegna Letteratura russa a Parma e ha tradotto L’idiota, di quel magma incandescente sa molto. E nella biografia, per così dire “letteraria”, entra nelle parole di un mostro sacro che, fin dalle prime prove letterarie, scrive “in qualche modo strano e sghembo, già si tiene nell’orizzonte della profezia”. Forse per questo, amandone i libri, si sarebbe tentati a volte di scrivergli, non con le parole che si rivolgerebbero a uno scrittore o a un filosofo, ma con quelle che diremmo a un padre spirituale. Caro Fëdor, il mondo senza di te sarebbe senza dubbio più povero e più solo… Un’epistola da inviare a Seneca, non a Virgilio, per scomodare gli antichi. Ghidini, che ci accompagna capitolo per capitolo alla riscoperta di scritti, i cui segreti sono ancora ben lungi dall’essere stati svelati, indugia in un paragone ancor più ardito: Dostoevskij, profondo conoscitore del romanzo ottocentesco, lo rivoluziona scardinandone struttura e senso, per entrare a gamba tesa nella letteratura del Novecento, scrivendo storie che possono entrare nella categoria del “romanzo-tragedia”, perché del dramma hanno non solo il contenuto, anche le forme tipiche. L’autrice non cita alcun immortale dell’Ellade, ma dato che il teatro europeo discende da quello greco, non si esclude che involontariamente il cantore della colpa abbia qualcosa in comune con loro. Il suo intento era quello di “scavare fuori l’uomo”, che è “un mistero”: questo il suo manifesto programmatico, esposto in una lettera al fratello a soli diciotto anni. Non si può negare che vi sia riuscito magistralmente: gli orrori di uno Stavrogin, nichilista amorale, sono scolpiti nella memoria di chiunque ne sia a conoscenza. Orrori probabilmente reali. Non tutti sanno che l’indagatore dei recessi più bui dell’anima, sempre oscillante tra l’affermazione e la negazione di Dio, con la sua prosa febbrile cercava il come e il perché dei fatti di cronaca letti sui giornali. La realtà supera insomma la fantasia. A entrarci con la testa di un genio si rischia di venirne sì fuori, ma solo a patto di aver maturato una nuova consapevolezza dei limiti e delle miserie dell’umanità.
DOSTOEVSKIJ
Maria Candida Ghidini
Salerno, 320 pp., 21 euro
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