Storia e cambiamento sociale
di Robert A. Nisbet, IBL Libri, 350 pp., 22 euro
Qual è il motore del cambiamento sociale? C’è una direzione che le singole civiltà tendono a imboccare in virtù di leggi intrinseche del loro sviluppo? Per la maggior parte delle filosofie, delle religioni, persino delle sociologie, i fenomeni sociali seguono un corso di crescita e sviluppo simile a quello che caratterizza gli organismi biologici, attraverso fasi di nascita, espansione, decadenza.
Nelle sue varie declinazioni, si tratta però, secondo Robert Nisbet – autore di questo classico del pensiero sociologico americano (1969), che l’Istituto Bruno Leoni ripresenta oggi in traduzione italiana – di una grave distorsione di fatti storici e sociologici del tutto restii a generalizzazioni tanto nette. Dagli antichi greci a Herbert Spencer, passando per Agostino, Comte, Hegel, Tylor e Marx, la fuorviante epistemologia che ha condizionato lo studio della società ha poggiato sull’idea che la vicenda storica umana sia regolata da leggi intelligibili che spingono la civiltà verso un fine, uno stadio ultimo, che sia il progresso, la liberazione dell’umanità, la manifestazione dello Spirito, la completa armonia tra gli individui.
La sociologia si trasforma allora nella ricerca della giusta “profezia”, nell’illuminazione di quelle leggi che indichino la direzione futura dell’organismo sociale. Si tratta di una metafora, certo, ma una metafora inevitabile, necessaria forse alla nostra stessa sopravvivenza. Ci consente di dare un senso al reale, di leggere con ottimismo la confusione del dato storico, di “non far venir meno la speranza e la fede”.
Nel dirigere il nostro sguardo, le metafore ci inducono però a tralasciare aspetti cruciali dell’esperienza del mondo. Noi, osserva Robert Nisbet, non vediamo mai il cambiamento sociale come tale, ma sempre “fatti confusi della persistenza e del cambiamento”. Non è il cambiamento a essere la regola, bensì una fissità “punteggiata” da eventi caotici. Il vizio degli storicismi, delle filosofie del progresso, delle dottrine “sviluppiste”, è studiare la storia senza mai vederla per quello che è.
E’ il reificare i processi sociali, collocando la “società” o la “civiltà” a un livello ulteriore rispetto alle relazioni concrete tra gli individui: nelle città, nelle istituzioni, nelle comunità. Poiché “più limitato ed empirico è il nostro oggetto, e minore è l’utilità della metafora”, ne consegue che essa perde di utilità proprio mentre ci si accosta agli eventi concreti, alla carne e al sangue che mutano davvero la storia. Allora la storia ci apparirà più confusa, meno aderente alle nostre speranze. Ma sarà una storia più reale, più imperfetta, certo, ma solo perché imperfetta è l’umanità che ne è protagonista.
STORIA E CAMBIAMENTO SOCIALE
Robert A. Nisbet
IBL Libri, 350 pp., 22 euro
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