recensioni foglianti
Leviatano 2.0. La costruzione dello stato moderno
Charles S. Maier
Einaudi, 341 pp., 30 euro
Maier trova una chiave di lettura unitaria del “lungo secolo di edificazione statale” (1870-1945) nel fatto che durante questi anni tutte le comunità politiche del mondo, in forme e gradi diversi ma in sostanziale emulazione reciproca, costruirono i propri apparati ed espansero le loro funzioni secondo un’idea positiva dell’intervento statale nella società (fino all’estremo dell’ingegneria sociale). Un intervento che poteva realizzarsi coi metodi “blandi” della regolamentazione e della riforma oppure con quelli “duri” della pianificazione e della mobilitazione negli stati di guerra o di disordine interno. Il lavoro di Meier, pubblicato da Einaudi come monografia, è in realtà il quinto volume di una Storia del mondo curata da Emily S. Rosenberg nel 2012. Capitoli fitti di luoghi, nomi ed eventi, se rendono il testo adatto a un corso di storia contemporanea, fanno talvolta perdere di vista la tesi centrale, che nondimeno è cogente.
Oggi tendiamo, dice Maier, a diffidare istintivamente dello stato. Dopo la parentesi dei totalitarismi, in cui esso fu in modo evidente nemico della libertà individuale, anche lo stato sociale di Beveridge e Monnet, dei paternalisti e degli ordoliberali è entrato in crisi. Oggi nei loro discorsi le istituzioni cercano di sublimare l’aspetto “statale” – coercitivo – del loro potere nella parola governance, intesa come tutela di esperti razionali e disinteressati.
Nel periodo considerato da questo lavoro, invece, era diffusa l’idea che lo stato fosse una dimensione indispensabile per la fioritura delle vite individuali: la prima grande invenzione tecnologica, capace di perfezionare al suo interno le condizioni per tutte le attività particolari e di far ascendere una collettività alla potenza. Il titolo di Leviatano “2.0” sta a suggerire un aggiornamento tecnico del vecchio simbolo di Hobbes.
In Maier però è suggestiva l’attenzione rivolta, fin dalle prime pagine, agli sconfitti dell’avanzata dello stato moderno: i popoli che rifiutavano i princìpi del dominio della legge e del controllo del territorio, in nome di forme di vita nomadiche e tradizionali. Sacrificati all’espansione degli imperi in lotta tra loro (non solo nelle colonie degli europei e nell’America settentrionale, ma anche ai margini degli imperi russo, ottomano, cinese e giapponese), essi venivano talvolta esibiti nelle grandi esposizioni universali, dove servivano a confermare la fede nel progresso. E anche all’interno dei paesi in via di modernizzazione permanevano forze primitive e oscure: il proletariato, le popolazioni rurali, gli anarchici (la Comune del 1871 non a caso descritta come un riaffiorare della barbarie), persino il culto mariano di Lourdes o Fatima: tutte espressioni incompatibili con lo stato “protestante o laico, maschile e militante”, intento al commercio, all’amministrazione e alla guerra.
LEVIATANO 2.0. LA COSTRUZIONE DELLO STATO MODERNO
Charles S. Maier
Einaudi, 341 pp., 30 euro
Una fogliata di libri