recensioni foglianti
La Società delle nazioni
Carl Schmitt
Le due rose, 214 pp., 20 euro
Non è il diritto internazionale a instaurare la pace, ma è piuttosto un’autentica pace il fondamento del diritto internazionale”. E’ soltanto una delle tante intuizioni del Carl Schmitt “pensatore delle situazioni concrete” (Günter Maschke), uno dei massimi esponenti del pensiero giuridico e politico novecentesco che in questo libro del 1926 – finalmente tradotto in italiano – si applica con acribia alla Società delle nazioni. Un’organizzazione internazionale nata nel 1919, sciolta nel 1946, madrina delle attuali Nazioni Unite, ma che già un secolo fa suscitò riflessioni schmittiane quanto mai profonde e ancora attuali, come osserva nella sapiente postfazione Giuseppe Perconte Licatese. Lo Schmitt degli anni Venti utilizza un registro diverso da quello esoterico degli anni successivi: è analitico e scettico, lontano da partiti e ideologie. Comunque già in grado di cogliere con sagacia e tempismo unici una transizione fondamentale nella geopolitica novecentesca e nel diritto internazionale. L’autore infatti guida per mano il lettore nel tentativo di rispondere al “nocciolo della questione” (Kernfrage): questa nuova costruzione che è la Società delle nazioni è forse un’unione di tipo federale, come il termine tedesco (Der Völkerbund) e molti studiosi lascerebbero intendere? Se i presupposti di una tale federazione sono la mutua garanzia dell’integrità territoriale e la relativa omogeneità degli ordinamenti costituzionali, Schmitt si sente in diritto di dubitare del carattere federale della Società delle nazioni. Il suo è un giudizio sospeso, che non gli impedì in quegli anni di essere a favore dell’adesione tedesca all’organizzazione, per opportunità politica più che per affinità ideologica. Mettendo comunque subito in guardia da alcuni caratteri ibridi e decisamente originali di questa organizzazione. Per esempio la consapevolezza che “un’unione interstatale cui allo stesso tempo appartengono l’Inghilterra e la Cina, l’Australia e il Giappone, la Germania e la Francia, la Norvegia e l’Etiopia non può, in forza di leggi sociologiche generali, che rimanere molto lasca e coinvolgere i singoli membri in modo diseguale”. Da qui il problema, tematizzato da Schmitt e ancora oggi attuale (si pensi ai rapporti dell’Ue con la Turchia) dell’omogeneità delle ideologie o delle costituzioni domestiche come fattore che influenza le scelte internazionali. Un altro corollario di ciò è l’ammissione che in certi casi una “denominazione” altisonante – ieri Società delle nazioni, oggi Onu o Ue – “dà una veste solenne a un insieme di mutevoli relazioni tra Stati, ma rimane solo una vuota parola, finché non corrisponde a un soggetto indipendente dalle potenze che se ne servono, o almeno a una sostanza internazionale distinta”. Infine Schmitt afferma l’impossibilità di un non-intervento in senso assoluto, puntando piuttosto sulla stesura di princìpi definiti e criteri di legittimità a fondamento delle ingerenze (anche militari) in stati terzi. Come nota Perconte Licatese, è anche da questi spunti che emerge “il significato attuale del testo di Schmitt: esso rappresenta un monito contro la giuridificazione delle relazioni internazionali”.
LA SOCIETA' DELLE NAZIONI
Carl Schmitt
Le due rose, 214 pp., 20 euro
Una Fogliata di libri