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Quant'è di moda stroncare un libro

Marco Archetti

Su dieci che leggo, nove cercano complici anziché lettori

Stroncature da stroncare? Ogni tanto, in rete o su carta, leggo stroncature che sono atti di teppismo. Atti in cui il desiderio vandalico e l’eccitazione barbarica stravincono sulla voglia di strutturare un ragionamento (magari quasi arguto, nei casi più audaci perfino cartesiano) che conduca il lettore a capire davvero perché, secondo l’opinione di chi firma la stroncatura, il libro in questione sia brutto fuori questione.

 

Ogni tanto leggo stroncature che sono operazioni egocentriche, provocazioni belle e buone alimentate da un lessico manesco e da un gusto un po’ farabutto per il ceffone in pubblico, gusto che, riga dopo riga, manrovescio dopo manrovescio, degenera nell’ostentazione più vanamente muscolare e nel fracasso autoesaltato. (Nel solco di questo genere baldanzoso e vigliacchetto, ieri mi sono imbattuto in una in cui un recensore facinoroso prendeva a legnate Coelho – un inerme, tanto è indubbio il cattivo gusto letterario che incarna – e dichiarava, citando uno dei suoi libri più introvabili, di preferirgli Isaac Singer. Capirai).

 

Ogni tanto leggo stroncature che sono schiamazzo, genital selfie, lapidazione con ammiccamento. Le peggiori sono quelle che si inebriano di un turpiloquio casual e modaiolo, derivante dallo pseudo-lessico dei social network e dal loro linguaggio tribale, chiaramente mosse dall’ambizione di trionfare proprio lì, nel più limaccioso guazzo opinionistico, nel sottoscala del ragionamento, nella sterminata aia del paralogismo collettivo, nella zollona tuittarola dei sarcasticoni da riflesso condizionato, spigliati apprezzatori di qualsiasi tirata che esibisca perentorietà prima che contenuto.

 

Insomma – questo è il punto – su dieci stroncature che leggo, in rete o su carta, nove cercano complici anziché lettori.

 

Che dire? E’ ormai molto facile parlar male di un libro e rastrellare un vasto consenso, un po’ perché stiamo vivendo una stagione irripetibile per chi voglia manipolare le opinioni altrui e far convergere un nutrito numero di persone verso un obiettivo da pernacchio nichilista, un po’ perché gli esercizi di questo tipo sono ormai così stereotipati da costituire un format cui siamo abituati tanto da essere i primi a esigerlo e a gioire se lo incontriamo. (Confessione: sono stato tentato di produrre un efferato “decalogo della stroncatura generalista cattivissima che funziona”, ma poi me lo sono impedito, giacché qui si vuol tutto meno che offrire strumenti sofisticati e sistematizzazioni utilissime agli Harold Bloom che qualsiasi tastiera di cittadinanza sta incubando perfino in questo momento). Ma che senso ha l’esercizio esclusivamente malevolo? Un giorno questo dolore ci sarà utile?

 

Mi chiedo a chi sarà mai utile la gioia piromane di bruciare la casa per arrostire il maiale, quella gioia facile di chi stronca un libro infarcendo un articolo o un post di virgolettati scelti ad hoc perché un autore affoghi nel ridicolo, rastrellando conferme a rinforzo della propria tesi e immiserendo di proposito la visione di uno scrittore per gettarne poi la grottesca caricatura tra le fauci di qualche frustrato multi-follower. Un cerino e via – non ne saremmo forse capaci tutti? (Se poi, in finale di piazzata, si evocassero riferimenti alle “grandi case editrici” che pubblicano “solo pattume”, ai “poteri forti dell’editoria”, ai “salotti esclusivi” e ai “templi della cultura ufficiale” rovesciando secchiate di benzina sulle vampe degli impubblicati, il gioco sarebbe fatto: agli occhi dell’utente medio di Facebook risulterebbe culatta degna di mattarello perfino quella, nobilissima, di Dante Alighieri).

 

Detto ciò, tranquilli, lo dico dalle righe di questo giornale, che della vivacità e della scrittura ha fatto la propria inconfondibile cifra: nemmeno si vuol morire di noia. Dunque né si indosserà la cotta da chierichetti, né si negherà il diritto a una stroncatura meno apprettata, meno attillata e semmai più disinvolta, consci di quanto il genere, se praticato con ingegno, garantisca puro divertimento. Vorrei solo porre questa condizione etica ed estetica: la stroncatura, per essere apprezzabile – per essere un’iniezione di intelligenza utile al lettore in primis – deve essere più inventiva e acuta del testo stroncato, lo deve svestire implacabilmente ma senza veemenza, e nel frattempo deve ricordarsi che ogni negazione deve farsi affermazione, e che ogni affermazione deve abbracciare e rigenerare la negazione, uniche condizioni per produrre pensiero, relazione e sintesi, e non solo mazzata, non solo sfregio, non solo turpiloquio à la page.

 

Il resto è boria paonazza da circoletto picchiatori, che agitano il randello di quel poco che hanno letto e di quel niente che ne han capito.

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