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Annie Proulx
minimum fax, 470 pp., 17 euro
Ricevendo il National Book Award alla carriera, Annie Proulx ironizzò confessando di aver iniziato davvero a scrivere a soli 58 anni, e che avrebbe dunque compreso eventuali ripensamenti della giuria. E’ stato un apprendistato lungo e silenzioso, ma profondo ed efficace. Proulx conosce molto bene le Muse. Nel Wyoming dov’è vissuta per anni ha ambientato la pluripremiata raccolta di storie da cui Ang Lee trasse il film “Brokeback Mountain” sui tormenti di due cowboy omosessuali, e anche con questo romanzo (a sua volta adattato per il grande schermo da Lasse Hallström con Kevin Spacey e Cate Blanchett) aveva già vinto il Pulitzer letterario. Vi racconta un lento e complesso processo di guarigione, quello di un uomo goffo e inadeguato (“tutto ciò che aveva era ciò che fingeva di avere”), gravato da un orribile passato familiare che conosce il suo vertice nel decesso d’una moglie inesorabilmente fedifraga: “Se fosse appartenuta a un’altra èra, e all’altro sesso, sarebbe stata una specie di Gengis Khan. Quando sentiva il bisogno di vedere città distrutte, prigionieri terrorizzati, cavalli esausti per aver percorso i confini vacillanti del suo impero, si accontentava delle modeste vittorie offerte dai duelli sessuali. E’ la vita, diceva tra sé”. Come in Dickens, una vecchia zia interverrà per proporre al vedovo con due figlie un “altro viaggio” dantesco, alla volta della Terranova di famiglia. Il modesto giornalista vi incontra e racconta gioie e cattiverie piccole e grandi, il peso del passato personale e comunitario, la bellezza e ferocia d’una natura dove il mare si agita “come una coperta su un letto di serpenti”. Tutte cose per cui in fondo occorre solo “una bella tazza di tè”. Come scriveva in Gente del Wyoming, “se non la puoi risolvere devi prenderla com’è”. Ci siamo sempre fatti del male, tra il mondo e noi, tra noi e gli altri, ma, come disse sempre alla cerimonia del 2017, per Annie Proulx al fondo di noi resta la possibilità di vivere ed esprimere altro: onore, dovere, rispetto, un amore che non debba mescolarsi necessariamente alla meschinità e al violenza. La sua prosa ironica, scarna e al tempo stesso delicata comunica una saggezza che supera qualsiasi enunciato esplicito, perché ci riconcilia con la stoffa autentica dell’esistenza, quei nodi da marinai che percorrono il libro con una serie di citazioni a inizio dei capitoli, ora come una vecchia maledizione aggrovigliata, ora come un cappio soffocante, ora come un tentativo di fiducia o una promessa di fedeltà. “Be’, se non altro quella vita l’aveva temprata. Era riuscita a navigare da sola lungo coste impervie, aveva ricucito le proprie vele lacerate, aveva sostituito i ferri vecchi e consumati con un’attrezzatura nuova e resistente. Si era fatta strada in un labirinto di scogli e secche, e aveva preso il largo. Ci era riuscita. Continuava a riuscirci, un giorno dopo l’altro”. Che le Muse, servite così bene, le concedano altri 58 anni e più di storie e scrittura.
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