recensioni foglianti
Dove soffiano i venti selvaggi
Nick Hunt
Neri Pozza, 304 pp., 17 euro
Chi farebbe mai un viaggio alla ricerca di qualcosa che per definizione è intangibile, invisibile e imprevedibile (anzi, letteralmente meteoropatico)? Fino ad ora solo la ciurma carrolliana a caccia dello Snark, mentre Estragone e Vladimiro non avrebbero mosso un passo per andare incontro all’inaffidabile Godot. In Dove soffiano i venti selvaggi, Nick Hunt ci porta con lui a caccia dei suoi Snark: venti che per la maggior parte del viaggio sembrano non esistere, o spirare solo nelle leggende popolari, nelle cronache e nei relitti dei musei, nella letteratura alta e bassa – da Joyce a Heidi – e nelle pennellate di Monet o Turner. Fino a quando un presagio, come il formarsi di un banco di nuvole o l’inaridirsi dei palmi, li preannuncia. Ma verranno davvero? “E poi, come se qualcuno avesse fatto scattare un interruttore, udii il vento”.
Lo stimolo a partire, oltre al ricordo di essere stato sollevato a 6 anni da una raffica di Helm, viene dalla curiosità suscitata all’autore da una mappa dei venti, con le sue linee che la attraversano come armate in marcia. “Per me sono solo macchie colorate” gli confida, come un Sancho Panza qualunque, la moglie di un meteorologo. In realtà sono isotache e isobare, aree di alta e bassa pressione: la pista che dovrà seguire questo percorso donchisciottesco, tra turbine eoliche e sperduti villaggi ad alta quota, sulle tracce di venti che scoperchiano case, fanno volare pecore “come fiocchi di lana” e strappano al mare i pesci accatastandoli morti sulle spiagge. Più che un reportage è un giallo in cui non si riesce a interrogare mai il colpevole, e spesso neppure a individuarlo, presente più nell’amarezza degli incontri mancati e nei racconti dei personaggi. Altri folli che come Hunt dedicano il loro tempo all’aria: dal collezionista triestino che conserva intrappolati in una teca venti da tutto il mondo al meteorologo scontroso che non vuole parlare del tempo, fino ai viandanti montanari che aspirano in silenzio dalle loro sigarette elettroniche (prendano nota i nostri “scrittori di vetta”: la montagna non è nemica della tecnologia).
Quando neppure le lingue nazionali si mettono d’accordo, qui Bora, lì Burja, là Bura – volendo imbrigliare nei confini proprio il migrante per antonomasia –, l’unico modo per afferrare l’inafferrabile resta la parola letteraria. Hunt lo fa con una lingua densa di metafore e aggettivi presi in prestito dai più diversi ambiti (il cielo è “marmorizzato, lattiginoso, screziato e chiazzato”), che fermano sulla pagina quella pura sinestesia che è il vento: “Più che un suono era una sensazione, una entità senza nome, pura energia, che cancellava ogni confine fra udire e sentire; per la prima volta in vita mia compresi il suono come forza fisica”.
Questa caccia, poetica quanto all’apparenza disperata, sulle tracce dell’invisibile, diventa paradigma di ogni viaggio, quelli che si fanno spostandosi o stando fermi, tutti alla ricerca di uno Snark che non si fa mai catturare, ma in rari momenti di grazia ha la forza di sollevarci da terra, anche se per pochi secondi.
DOVE SOFFIANO I VENTI SELVAGGI
Nick Hunt
Neri Pozza, 304 pp., 17 euro
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