Eva Gonzalès, “Le Petit Lever”

Quelle impressioniste che fecero grande l'arte

Giulia Ciarapica

Un libro che prova a colmare quel profondo vuoto bibliografico attorno a quelle donne che avrebbero dovuto occupare un ruolo di rilievo nella storia della cultura, e che invece sono state dimenticate

"Non sono mai stata in grado di scoprire cosa è esattamente il femminismo; so solo che la gente mi chiama femminista ogni volta che esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino" scrive Rebecca West, donna, scrittrice e artista della parola che giustamente si chiede quale ruolo debba rivestire la donna nella società e nel mondo dell’Arte a tutto tondo, inteso come universo di emozioni che valicano il senso della realtà. E’ un po’ quello che si chiedono, pur esprimendosi attraverso la pittura e non attraverso la penna, anche le quattro impressioniste cadute nell’oblio, completamente oscurate dal mondo dell’arte: Berthe Morisot, Eva Gonzalès, Marie Bracquemond e Mary Cassatt. Dopo un secolo di buio – vale a dire dal momento in cui queste pittrici terminarono la loro attività e poi per tutto il Novecento fino a oggi – Martina Corgnati pubblica per Nomos Edizioni il volume “Impressioniste”, lavoro che tenta di far apparire meno profondo quel vuoto bibliografico attorno a queste donne che avrebbero dovuto occupare un ruolo di rilievo nella storia della cultura, e che invece sono state dimenticate. Quanto abbiamo ammirato – e tuttora continuiamo a farlo – le opere di Monet, Manet, Degas e Renoir? Quanto ci siamo interessati – e tuttora continuiamo a farlo – ad un movimento che ha cambiato il corso della storia dell’arte, vale a dire l’Impressionismo? Eppure in pochi, in Italia e nel mondo, sanno dell’esistenza di quattro voci che, a modo loro, hanno costruito un percorso fuori dal coro, ispirandosi ai colleghi impressionisti ma scovando attraverso una formulazione tutta personale la propria anima pittorica, fatta di colore, di luce, di linee morbide ma anche di oscurità e di ambiguità psicologica.

 

Berthe Morisot fu ufficialmente la prima donna a prendere parte alla prima mostra degli impressionisti nello studio professionale del fotografo Nadar, il 15 aprile 1874, e in quell’occasione presentò ben nove lavori a olio, pastello e acquerello; da quella rassegna in avanti – che fu a tutti gli effetti la manifestazione di un’avanguardia artistica di un gruppo di persone che si contrapponeva all’establishment dell’arte – la Morisot seguì la sua strada esprimendosi con un linguaggio pittorico più sciolto di quello di Manet, più soffice e “disarticolato”, giocato su atmosfere quasi impalpabili, prive di contorni e senza l’uso del nero. Dopo quella dimostrazione di coraggio – partecipare, lei donna, ad un mostra di pittura avanguardistica, in mezzo a quello che all’epoca era considerato un gruppo di folli – non mancarono commenti selvaggi e offensivi, a cui tuttavia Berthe sembrò non fare più di tanto caso. Ma se la Morisot, con il supporto della famiglia e del marito Eugène Manet, riuscì a ottenere uno studio tutto per sé, la stessa sorte non toccò a Eva Gonzalès, di natura meno malinconica rispetto a Berthe, più volitiva e più entusiasta: lei non prese in considerazione la prima mostra impressionista, quella che voleva percorrere era una strada più ufficiale e sarebbe passata per i famosi Salon (nonostante i numerosi rifiuti). Anche per Eva, come per Berthe, l’attenzione di Manet fu grande, tanto che la ritrasse per ben due volte, di cui una nel momento in cui dipingeva. Un onore che venne concesso alla Gonzalès forse perché Manet riconosceva nella sua pittura un barlume della propria. Di carattere più docile e remissivo fu Marie Bracquemond che, nonostante ebbe soltanto una fase impressionista nell’arco della sua breve carriera, partecipò a molte mostre degli impressionisti. Nel suo caso, però, giocò un ruolo importante il marito, Fèlix Bracquemond, che la osteggiò in ogni modo con la sua personalità ingombrante. E se di personalità ingombranti vogliamo parlare, è il caso di citare Mary Cassatt, l’unica impressionista (dal 1877) di origini americane: ebbe un forte legame con Degas, prediligendo per lo più i soggetti ai paesaggi e dedicandosi nell’età matura soprattutto ai ritratti di bambini. Si batté con le suffragette per i diritti delle donne e fu una fervente contestatrice del sistema di favoritismi e adulazioni made in Francia.

 

Di queste pittrici, oggi, restano i loro quadri in mostra al Muséè National des Beaux-Arts du Québec, alla Barnes Foundation, al Dallas Museum of Art e finalmente al Musée d’Orsay; e poi resta la memoria, un po’ sfilacciata, non tanto per colpa dei loro contemporanei quanto soprattutto dei posteri, che non hanno avuto la forza e l’intelligenza di valutare adeguatamente il talento femminile.

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