Come un pesciolino rosso in una vasca di lucci
George Orwell
Elèuthera, 219 pp., 16 euro
Col caratteristico, severo understatement, sintetizzò la proprio vocazione d’uomo e scrittore come una certa “dimestichezza con le parole e a guardare in faccia i fatti spiacevoli”, dentro e fuori di sé. E quando Christopher Hitchens scrisse che d’una mente indipendente non è importante cosa pensa quanto anzitutto come pensa, si riferiva certamente anche a lui. Eppure George Orwell, al pari di Pasolini e alcuni altri, resta uno degli autori più citato e meno letti del Novecento. Questa bella antologia degli scritti politici dell’autore di 1984 e La fattoria degli animali costituisce un toccasana per chiunque voglia attingere al whisky bruciante della sua intelligenza di moralista – nel senso più nobile e antico della parola – senza sconti. Vi si ripercorre la sua vita di giornalista, romanziere e attivista del partito laburista indipendente, dalla Guerra civile spagnola al significato della propria scrittura: “Del libro non dirò nulla: se non si spiega da sé, significa che è un fiasco”. Egli ha additato senza sosta le ipocrisie del nostro mondo civile, che combatte giustamente i barbari di ieri e oggi ma al tempo stesso prospera su ingiustizie parimenti feroci e solo più occulte: “La maggioranza dei politici e dei propagandisti di sinistra si guadagna da vivere pretendendo a gran voce cose che in realtà non desidera affffatto. Sono rivoluzionari infuocati fintanto che fila tutto liscio, ma appena scoppia l’emergenza gettano la maschera”. Nella sua riflessione, il dettaglio particolare e apparentemente banale e le grandi dinamiche universali si illuminano a vicenda, con una serie d’immagini che strappano un sorriso amaro per la loro perenne validità: “La libertà di stampa è sempre stata una facciata perché, in ultima analisi, sono i soldi a controllare le opinioni… niente di ciò che viene proposto dai letterati benintenzionati si realizza mai… la gente adora il potere nella misura in cui è in grado di comprenderlo… i santi andrebbero sempre considerati colpevoli fino a prova contraria”. Negli anni Trenta vedeva chiaramente “che tutti noi siamo capaci di credere cose che sappiamo essere false, e tuttavia, quando i fatti dimostrano che avevamo torto, non abbiamo scrupoli a distorcerli per dimostrare che avevamo ragione. Da un punto di vista intellettuale è possibile proseguire su questa strada all’infinito; l’unico intralcio è che presto o tardi una falsa credenza si scontra con la realtà concreta, di solito su un campo di battaglia”.
L’antidoto fondamentale restava e resta una lealtà sempre rinnovata alla concretezza sporca della vita, ai suoi vincoli particolari ma niente affatto parziali: “Un essere umano è per definizione una creatura che non persegue la perfezione, che a volte è disposta a commettere un peccato in nome della lealtà, che non spinge l’ascetismo al punto da rendere impossibile il rapporto con gli amici e che è pronta a essere sconfitta e spezzata dalla vita, il prezzo che si paga inevitabilmente quando ci si lega agli altri attraverso l’amore”.
COME UN PESCIOLINO ROSSO IN UNA VASCA DI LUCCI
George Orwell
Elèuthera, 219 pp., 16 euro