recensioni foglianti
Feste in lacrime. Racconti dalla Thailandia
Prabda Yoon
Add edition, 224 pp., 18 euro
La storia dei ragazzini thailandesi intrappolati in una grotta, potrebbe essere una trama di Prabda Yoon. “Sono storie bizzarre dal finale criptico”: è lo stesso autore, anzi un suo doppio, che svela il senso dei dodici racconti di Feste in lacrime. Del resto, dice quell’ombra che appare nell’undicesimo, “Prabda continuerà a essere innamorato della propria immaginazione”. I racconti di Prabda, come la narrazione della vicenda di quei ragazzi, creano un effetto prisma, determinano interpretazioni diverse che possono apparire ingannevoli. Bizzarre, criptiche, appunto. Dipende da chi guarda e soprattutto da dove si guarda, si legge.
“Voleva imparare a piangere per divertimento” dice un personaggio del primo racconto (che dà titolo al libro): quello che per noi è un bell’ossimoro letterario, ad esempio, per un thai è una manifestazione del “sanuk”, il divertimento, l’accettazione del principio del piacere, che nella nostra cultura domina le pulsioni e la loro soddisfazione allucinatoria. Se poi si precisa che le feste in lacrime sono indotte dal prik thai, che non è una sostanza psicotropa, bensì il fortissimo peperoncino locale, ecco che dal prisma appare una proiezione della khwampenthai, la thailandesità.
Prabda Yoon, classe ’73, scrittore, regista, editore, traduttore e grafico, è considerato uno dei protagonisti della nuova generazione di intellettuali thai: eclettici, cosmopoliti, reincarnazione asiatica degli Apocalittici e integrati rappresentati da Umberto Eco nel 1964. “I miei amici erano concettuali. Di giorno in giorno, a scuola, era una continua caccia al concept” dice il personaggio del racconto “Penna tra parentesi”.
La sua khwampenthai, quindi, va oltre gli stereotipi orientalisti alimentati in occidente e spesso rivendicati dai governi locali in nome dei “valori asiatici”, della tradizione contrapposta alle contaminazioni occidentali. E’ una thailandesità “plastica, volatile e mutevole”, secondo la definizione dell’accademico Pavin Chachavalpongpun (uno dei maggiori critici dell’attuale governo militare). E’ la stessa thailandesità del regista Apichatpong Weerasethakul, autore de Lo zio Boonmee che può richiamare le sue precedenti vite, che ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 2010 (c’è da chiedersi che film trarrebbe dalla storia dei ragazzini nella grotta). Lo afferma lo stesso Prabda: secondo lui Weerasethakul ha infranto il tabù che impediva agli artisti di rappresentare la khwampenthai in quanto espressione di un mondo arcaico, più conservatore che popolare. Se il regista la riprende nel suo contesto naturale, la Thailandia rurale, lo scenario di Prabda è soprattutto a Bangkok, che nei suoi racconti diventa una proiezione del saiyasat, il mondo del soprannaturale, profondamente radicato nell’inconscio collettivo. I phii, gli spiriti, sono protagonisti di molti dei suoi racconti, ancor più inquietanti proprio perché fuoriusciti dalle foreste, i villaggi, le grotte. Forse, questa loro presenza in un ambiente che ci è più familiare può far uscire la letteratura thai dalla sua grotta.
FESTE IN LACRIME
Prabda Yoon
Add edition, 224 pp., 18 euro