recensioni foglianti
Grande trampoliere smarrito
Arthur Cravan
Adelphi, 208 pp., 13 euro
C’è qualcosa di picaresco nella vita di Arthur Cravan. Lazarillo de Tormes? L’avventuroso Simplicissimus? Gli sono fratelli. Esiste vita più avventurosa della sua? Non è forse quella il suo vero capolavoro? E viene il dubbio che la poesia, le cose scritte, siano transitate in lui alla velocità della luce: il tempo di dubitare, come Rimbaud, della loro innocenza. Deve essere andata proprio così se è vero che nell’autunno del 1914, in una lettera alla madre, egli ricorda come il semplice fatto di scrivere la parola “sempiternellement” gli procurasse dolorosi crampi alle mani.
L’aneddoto è riportato da Edgardo Franzosini nel testo che accompagna le pagine scritte da questo teppista sradicato, pubblicate ora da Adelphi in un volume intitolato Grande trampoliere smarrito. Il ricordo di Franzosini si intitola invece L’importanza di non chiamarsi Fabian Avenarius Lloyd (il suo vero nome), e inizia così: “Arthur Cravan fu poeta, scrittore, pittore, critico d’arte, conferenziere e pugile (ma secondo Blaise Cendrars, anche scassinatore, raccoglitore di arance nelle piantagioni della California, pescatore di merluzzi al largo di Terranova, conducente di taxi e ricattatore)”. Avvezzo com’era agli pseudonimi, per un istante ci viene in mente che avrebbe potuto essere barista a Parigi. Come Moustache in Irma la dolce: entrambi con il loro carico di nomi e mestieri, “ma questa è un’altra storia”.
Nipote di Oscar Wilde, Arthur Cravan era alto due metri per 104 chili. Nato a Losanna nel 1887, a undici anni si dedicava già ai furti, insieme al fratello Otho: portapenne, calendari, pistole giocattolo. Ai libri preferiva di gran lunga lo sport. Tra questi la boxe, che praticherà per tutta la vita, in maniera discontinua, quasi sonnambolica, come tutto ciò che ha fatto (sfiderà addirittura il campione mondiale Jack Johnson, buscandole).
E poi il nuoto. Lo immaginiamo simile a un siluro, nei fiumi, nei laghi, perfino negli oceani; compreso quel Golfo del Messico dove farà definitivamente perdere le sue tracce, al largo di Salina Cruz, nel 1918. Prima, a Parigi, era stato poeta, critico d’arte, ballerino, conferenziere dada, fondatore della rivista Maintenant. E’ critico, editorialista: svolge tutte le mansioni. Escono cinque numeri. Sul quarto insulta la pittrice Marie Laurencin, amante di Apollinaire (a cui dà dell’ebreo e che è pronto a sfidarlo a duello). Ma tira aria di guerra, così fugge in Spagna, poi in America (dove incontra Picabia e Duchamp). Quando anche gli Stati Uniti entrano nel conflitto bellico, fugge in Canada, quindi in Messico. Brucia patrie e passaporti. Ha diverse amanti. L’ultima è la poetessa Mina Loy, da cui avrà un figlio. Le cose più belle che ha lasciato sono le lettere. Una in particolare, indirizzata al critico d’arte Félix Fénéon, nel 1916. Un capolavoro struggente. Ma questa è un’altra storia.
GRANDE TRAMPOLIERE SMARRITO
Arthur Cravan
Adelphi, 208 pp., 13 euro
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