Pannella, Bernanos e le tentazioni superate
Quando citava i libri capitali della sua formazione lasciava sempre intravedere un collegamento col resto del discorso
Spesso, di giorno e di notte, Radio Radicale rimanda in onda dei vecchi discorsi di Pannella. Poco tempo fa, con commozione, ho risentito la sua voce incrinarsi mentre citava i “Dialoghi delle Carmelitane” di Georges Bernanos (1888-1948). Nel suo ultimo inverno tunisino, finché la malattia glielo permise, lo scrittore lavorò a quel testo per la sceneggiatura di un film realizzato un decennio dopo da Bruckberger e ispirato a un racconto di Gertrude von Le Fort. Il soggetto è storico: nel luglio del 1794, a Parigi, sedici carmelitane accusate di tramare contro la repubblica affrontarono la ghigliottina. Ma nella storia la narratrice ha introdotto una protagonista d’invenzione il cui nome riecheggia il proprio, Bianca De La Force. Nata dopo un enorme, manzoniano spavento provato dalla madre, quasi travolta dalla folla scesa in piazza ad acclamare il matrimonio tra Luigi XVI e Maria Antonietta, Bianca è figlia della paura, che diventa in lei un sentimento dominante e inscindibile dalla vergogna.
Quando decide di trasformarsi in suor Bianca dell’Agonia di Gesù, e poi di rimanere al Carmelo mentre i famigliari sono dispersi dalla furia della rivoluzione, cerca di scacciare il dubbio che non si tratti di un sacrificio nobile, o perlomeno necessario, ma di un’imperdonabile fuga dalle prove del mondo. Anche nel piccolo mondo del convento, del resto, vede riflessa la viltà che la piega come un’incontrastabile forza fisica: le due priore e le giovani compagne faticano a reprimere l’insofferenza di fronte a quella ragazza tremebonda. Nel finale, però, Bianca si riscatta. Pur potendo sottrarsi al boia va a condividere il destino delle sue sorelle, cantando anche lei prima di sparire sul palco. Bernanos riepiloga i suoi temi essenziali e li esprime con la consueta, potente eloquenza aforistica: prima di tutto quello, su cui si chiude il “Diario di un curato di campagna”, della lotta contro l’orgoglio e contro lo speculare peccato del disprezzo di sé.
“C’è un solo modo di abbassare il proprio orgoglio: è di elevarsene al di sopra. Ma non ci si contorce per diventare umili, come un grosso gatto per entrare nella trappola dei sorci. La vera umiltà è anzitutto decoro ed equilibrio”, dice Madre Maria a Bianca. E la prima priora, dandole gli ultimi consigli, le ricorda che “I santi non si irrigidivano contro le tentazioni, non si ribellavano contro se stessi, la ribellione è sempre opera del diavolo; e soprattutto non disprezzatevi mai! E’ estremamente difficile disprezzarsi senza offender Dio in noi”. Anche lei, dopo una vita di rigore esemplare, muore nella paurosa angoscia che è risparmiata solo alle santissime e alle mediocri: “Sono sola”, scandisce dal suo letto. “Dio stesso è diventato un’ombra… Ahimé! Ho più di trent’anni di professione, dodici di superiorato. Ho meditato sulla morte in ogni ora della mia vita, e questo ora non mi serve a nulla!”. Non si può non pensare, davanti a queste battute, all’uomo Bernanos che attende la propria fine, destinata a coglierlo in un altro luglio. Le suore le ascoltano con imbarazzo. Si chiedono perché non solo la priora, ma Cristo stesso abbia tremato nel Getsemani, dato che tanti martiri e persino dei briganti sono viceversa andati incontro alla morte con ferma audacia. Ma Madre Maria suggerisce allora che “il coraggio può essere anch’esso una fantasmagoria del demonio”. E qui Bernanos si avvicina alla Weil, secondo la quale si può evitare di essere toccati fino al midollo dal terrore solo se si è protetti dalla menzogna o dal fanatismo.
Nei “Dialoghi” risuona infine un altro motivo bernanosiano: quello dell’“onore” che Bianca vuol riconquistare. E’ una parola che lo scrittore sottrae caparbiamente agli abusi dei fascisti, così come, in un passo dei “Grandi cimiteri sotto la luna” che oggi andrebbe letto ovunque a voce alta, cerca di sottrarre il pathos dell’“ordine” a coloro che lo riducono a una “concezione orribile”: “L’ordine per le strade”. Quando Pannella citava i libri capitali della propria formazione, compresa la requisitoria bernanosiana contro Franco e la Chiesa, anche nei molti casi in cui le sue frasi s’ingarbugliavano in un gomitolo di ellissi lasciava sempre intravedere un collegamento col resto del discorso. Invece i “Dialoghi”, a volte, apparivano e scomparivano senza un perché: il filo era sepolto, segreto, privato, come indicava la voce levata quasi al grido per ricacciare indietro il pianto. Viene da credere che in quel testo avesse trovato riflesso uno scacco giovanile, una tentazione e una debolezza che forse anche grazie al suo specchio era riuscito a superare.
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