RECENSIONI FOGLIANTI
Daniel Deronda
George Eliot
Fazi, 948 pp., 20 euro
Pubblicato nel 1876 a puntate – allora si usava così – Daniel Deronda è l’ultimo grande romanzo di Mary Anne Evans, autrice di straordinario talento, che prima di raggiungere il successo e la celebrità, scelse di scrivere con lo pseudonimo maschile di George Eliot, per sottrarsi ai pregiudizi antifemminili dell’Inghilterra vittoriana.
Sfruttando appieno la formula editoriale in voga a quell’epoca, Eliot seppe tenere in sospeso a lungo e con maestria gli appassionati lettori, portandoli a spasso in una trama ricca di colpi di scena, ingannandoli con false aspettative sentimentali, incrociando e aggrovigliando i destini, ammantando di ideali romantici gli eroi e le eroine del romanzo.
Daniel, il protagonista, è ricco, giovane e bello, generoso e di buoni sentimenti. Sin dall’inizio sappiamo di lui che è figlio adottivo: le sue vere origini verranno alla luce solo nell’ultima parte del libro. Egli resta colpito dall’affascinante ma viziata Gwendolen, e la aiuta finanziariamente ma di nascosto, per autentico altruismo. La famiglia di lei cade in disgrazia e la giovane è costretta a un matrimonio infelice. Tutto induce il lettore a credere che i due si ritroveranno e trionferà l’amore, ma Eliot ha in serbo ben altre sorprese.
Daniel conosce Mirah, e attraverso di lei scopre la straordinaria complessità del popolo ebraico, e l’odiosa persecuzione da cui è oppresso. Tutto, nell’ebraismo, lo attira magneticamente e lo affascina, per ragioni che egli stesso giudica inspiegabili. La vera svolta del romanzo si avrà solo molto più avanti, quando i genitori adottivi riveleranno a Daniel le sue vere origini. La vita e le scelte del giovane ne saranno irreversibilmente segnate, anche dal punto di vista sentimentale.
A un secolo e mezzo dalla pubblicazione, è il sionismo il vero elemento di modernità e attualità del romanzo, per il resto di impianto e contenuti tipicamente ottocenteschi. Non a caso, a Daniel Deronda è dedicato un intero capitolo della bella antologia di Elia Boccara: “Sionisti cristiani in Europa”, pubblicata lo scorso anno da Giuntina. Scrive Boccara: “Ventun anni prima della pubblicazione di Der Judenstaat, di Hertzl, con il quale nasceva il sionismo organizzato, quarantun anni prima della dichiarazione Balfour, settantadue anni prima della dichiarazione di indipendenza dello stato di Israele, George Eliot aveva anticipato e predetto l’avvenire, in un coro di proteste da parte dei critici, che gridarono quasi tutti contro una conclusione, secondo loro, del tutto inverosimile”.
L’ultimo romanzo di Marian Evans, forse il più bello, certo il più controverso, suscita grande scandalo soprattutto nel pubblico, per la particolare abilità dell’autrice nello stanare e mettere alla berlina il pregiudizio antisemita che alligna fortemente nella società britannica. A molti lettori inglesi, appassionarsi per la più romantica storia d’amore, e poi scoprire di nutrire ingiusti pregiudizi nei confronti del popolo ebraico, non dovette fare particolarmente piacere.
George Eliot
Fazi, 948 pp., 20 euro