recensioni foglianti
Farabeuf o la cronaca di un istante
Salvador Elizondo
LiberAria, 138 pp., 16 euro
Esiste qualcosa che sia più implacabile del ricordo? Forse solo il ricordo di uno specifico istante, quando quell’istante lo ingigantiamo nelle faglie della memoria fino a tramutarlo nel salto ripetuto di un sasso nell’acqua di un lago. Farabeuf o la cronaca di un istante di Salvador Elizondo è un libro fatto di quella stessa acqua: imprendibile come un’ossessione. Opera di culto in Messico – dove uscì a metà anni Sessanta –, è la trasmigrazione messicana del nouveau roman francese, figlio di quell’école du regard che a metà Novecento scardina le regole di trama e bandisce i personaggi classici in favore di una descrizione minuta delle cose e degli istanti: il romanzo è un fiume in piena, una fotografia, e l’uomo non è uomo bensì semplice occhio chiamato a fotografare. Il Farabeuf di Elizondo fu pubblicato in Italia una prima volta da Feltrinelli, più di quarant’anni fa. Oggi esce in una nuova traduzione (di Giulia Zavagna, la bravissima giovane erede della più grande traduttrice vivente dei latinoamericani: Ilide Carmignani) per la casa editrice barese LiberAria, come anteprima della collana Phileas Fogg, curata da Alessandro Raveggi.
Il protagonista di questa storia – o delle sue rifrazioni – è Louis Farabeuf, il leggendario medico francese la cui statua si staglia sul cortile centrale della Scuola nazionale di medicina di Parigi. Farabeuf a inizio ’900 assiste, a Pechino, all’esecuzione dell’assassino di un principe tramite Leng-tch’e, la tortura dei Mille Tagli. Insieme a lui, la sua amante: un’infermiera. Farabeuf era una spia? Non si sa. A un certo punto compaiono due amanti su una spiaggia. Compaiono un appartamento, uno specchio, attrezzi chirurgici, un uomo che sale una scala. I due amanti sono gli stessi Farabeuf e la sua infermiera? Non si sa. Le uniche cose certe sono una fotografia e la domanda: ricordi?, ripetuta per tutto il libro. Il ricordo diventa tortura e la tortura diventa gioco erotico tra i due, che forse sono quattro. Ecco il perché di quell’organo genitale femminile in copertina, che è piacere ma anche ferita. “E allora mi abbandonai al suo abbraccio e gli aprii il mio corpo perché lui vi penetrasse come il pugnale penetra nella ferita”. Del resto che cos’è l’amore, se non l’apertura di un varco a una morte possibile? Se l’orgasmo viene detto “petite mort” è perché in quell’istante perdiamo coscienza, ci abbandoniamo all’impensabile: siamo fragili come non mai, eppure invincibili. Ricordi?
Che si tratti di un assassino condannato alla pena capitale o di una persona nuda e innamorata, poco importa: “Sei mossa da determinazione: cerchi nelle pieghe della morte quel che è stato della tua vita”. Un istante può essere più importante di una vita intera, ossessionare e abitare una vita intera? “Perfino il gesto più insignificante, la più tenue sfumatura di uno sguardo rivolto a caso verso il cielo o incrociato sulla superficie di uno specchio, tutto, assolutamente tutto, può avere un’importanza capitale. E’ necessario ricordare tutto, ora, qui”. E tu, recuerdas?
FARABEUF O LA CRONACA DI UN ISTANTE
Salvador Elizondo
LiberAria, 138 pp., 16 euro
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