recensioni foglianti
I quattro libri
Yan Lianke, Nottetempo, 480 pp., 23 euro
Nel Campo 99, sulle rive del Fiume Giallo, lo Scrittore, l’Erudito, il Teologo e la Musicista, quattro prigionieri senza nome, devono sottostare agli ordini di un giovane despota ossessivo: il Bambino. Yan Lianke, scrittore cinese con un passato non troppo lontano nell’esercito (lasciato definitivamente nel 2005 per dedicarsi alla scrittura), ci porta alla fine degli anni 50, nell’epoca del “Grande balzo in avanti” scatenato da Mao, idealmente rivolto ad assicurare al paese il primato mondiale nella produzione dell’acciaio, ma nella realtà risoltosi in un fallimento totale.
Anche nel villaggio della provincia contadina dell’Henan dove è nato nel 1952, spuntarono fornaci ovunque, con ben pochi risultati. Una denuncia già fatta, con la sua inconfondibile satira pungente, nel suo primo romanzo, Servire il popolo (Einaudi, 2006), dove ricordò che la Rivoluzione culturale fu solo una maniera per assicurarsi l’epurazione sistematica degli oppositori. Un contestatore nato Lianke, censurato in Cina, ma amatissimo dagli intellettuali occidentali, tanto che il suo nome ogni anno è in lizza per il Nobel per la Letteratura. Parla di acciaio nonostante farlo sia visto ancora oggi con sospetto; ricorda quel passato non troppo lontano grazie ai quattro punti di vista diversi dei quattro prigionieri, accusati di un’unica colpa: essere intellettuali. Vengono sottoposti a una disciplina inflessibile e a un lavoro massacrante per raggiungere gli obiettivi produttivi fissati dal regime, volto solo a risanare le proprie credenziali. Il Bambino infierisce su di loro con vessazioni di ogni tipo, fino a trasformare il Campo 99 – un posto in cui sono costretti a sopravvivere più che a vivere – in una società priva di valori che insegue soltanto il denaro. Tra roghi di libri, coltivazione intensiva del grano e una terribile carestia, gli anni passano implacabili come la forza che ha la natura sul grande fiume e sui destini dei personaggi. Sono denutriti, disperati e pronti a fare dei gesti estremi, dal cannibalismo all’innaffiare le piante con il proprio sangue, o – come fa lo Scrittore – a scrivere, sperando di tornare a casa, una “Cronaca dei criminali” che altro non è che il resoconto della sua attività di spionaggio ai danni dei compagni di sventura. La fede, in una realtà del genere e in un paese ateo come quello, può comunque avere un posto a suo modo, riflettendo però sempre un conflitto interno nella società cinese, tra consumismo sfrenato e la natura effimera del denaro stesso. Ce lo ricorda Lianke, che segue un registro a suo modo leggero, distante sì dalla retorica del dolore, ma capace di trasmettere al meglio al lettore la banalità del male. Il suo è un libro potente e visionario, una storia dal crescendo drammatico, un racconto che esprime, nonostante tutto, la fiducia nei confronti dell’umanità – che è fragile e resiliente – e nell’esistenza di un altro mondo lontano, ma ancora possibile.
I QUATTRO LIBRI
Yan Lianke
Nottetempo, 480 pp., 23 euro
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