Un vaso d'alabastro illuminato dall'interno - Diari
di George Byron, Adelphi, 303 pp., 14 euro
Primo: a ventitré anni il meglio della vita è andato e le sue amarezze raddoppiano. Secondo: Ho visto gli uomini di vari paesi e li ho trovati altrettanto spregevoli, se mai l’ago della bilancia pende a favore dei turchi. Terzo: Sono affranto”. A scrivere così, gravato dal gassmaniano “grande avvenire dietro le spalle” è un giovane, duplice mito, artistico e biografico. Spesso corre un vistoso divario tra chi crea una leggenda e chi la vive. Byron invece fu il padre fondatore d’un intero orizzonte culturale e simbolico, che incarnò e pagò con la sua stessa vita: l’uomo fatale, lo zoppo bisessuale accusato d’incesto, inscindibile dai suoi personaggi Manfred, Don Juan, Caino, che ispirò il primo vampiro aristocratico a Polidori, e al tempo stesso sostenne le lotte di decabristi e carbonari. Per Mazzini “l’eterno spirito dell’intelletto libero da catene non ebbe mai più splendida apparizione tra di noi”. Uno spirito gravato da un dono.
Come scrisse Praz, Byron, a differenza di tanti discepoli, era un “poseur tormentato dal senso del ridicolo: era sì dell’epoca, ma con una differenza, un’inquietudine nuova”. Tutto ciò si riflette in questi splendidi diari, che si possono aprire quasi a caso e seguirlo nel suo “pellegrinare nella finitudine”, secondo la bella espressione del curatore Ottavio Fatica. La complessa compresenza di passione tragica e ironia disincantata gli fanno tratteggiare con crudele sagacia le vanità del mondo letterario (“Oggi ho ricevuto l’invito da parte di Lord Jersey a recarmi a Middleton – un viaggio di sessanta miglia per incontrare Madame de Staël! Una volta ne ho fatte tremila per trovarmi in mezzo a gente silenziosa; mentre la signora in questione scrive tomi in-ottavo e parla formato in-folio”) e certi nostri adagi stereotipati (“Il rispettabile Giobbe dice: ‘Perché un uomo vivo dovrebbe lamentarsi?’. Io non lo so di certo, a parte il fatto che un uomo morto non potrebbe”). Vi incontriamo il confronto presciente con la nuova cultura d’oltreoceano (“Ogniqualvolta un americano chiede di vedermi io acconsento… perché tali visite transatlantiche ‘scarse e distanziate’ mi danno la sensazione di parlare con i posteri dall’altra sponda dello Stige”) e, soprattutto, la consolazione della poesia: “Comporla, credo, mi ha tenuto in vita”. Cercando dei paragoni col mistero di Byron, si è spesso evocata la parabola tragica di Alcibiade, ed è interessante che egli stesso si interroghi sul condottiero ateniese: “Si dice che Alcibiade abbia ottenuto ‘il successo in tutte le battaglie’ – ma quali battaglie? Fuori i nomi… Eppure tutto sommato è difficile trovare un nome dell’antichità che ci si presenti con un fascino generale come quello di Alcibiade – Perché? –. Non so rispondere – chi ne sarebbe capace?”. Anche nel suo caso, da Londra alla morte per la libertà della Grecia, l’incantesimo del carisma continua a spirare. Si desidera ancora seguire il poeta-guerriero, nei suoi banchetti, silenzi, e battaglie.
UN VASO D'ALABASTRO ILLUMINATO DALL'INTERNO - DIARI
George Byron
Adelphi, 303 pp., 14 euro
Una fogliata di libri
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