Interviste
William Burroughs, il Saggiatore, 1.239 pp., 65 euro
A un certo punto, tra le pagine di questo volume monumentale intitolato Interviste, qualcuno chiede a William Burroughs come ha perso il dito della mano. Lui risponde: “Meglio lasciare perdere”. Scoraggiante, non trovate? La risposta non lascia margini di replica. Eppure, numerose interviste dopo, capita che alla medesima domanda egli risponda. E di buon grado. Questa volta gliela pone il fotografo Peter Beard. Si trovano a casa di Victor Bockris. C’è anche il regista Nicholas Roeg. Scopriamo così che il dito l’ha perso a quattordici anni, mentre tentava un esperimento con sostanze chimiche: clorato di potassio e fosforo rosso. Nell’esplosione ci ha quasi rimesso la mano. Le mille e duecento pagine del libro funzionano un po’ così: ci spostiamo tra reticenze, glissando, o improvvise accelerazioni, loquacità. Lacune, omissioni? Se si presentano, è probabile che verranno colmate. Basta avanzare nella lettura e avere pazienza. Tra le pagine passa tutta la sua vita: quella del tossicomane uxoricida, quella dello scrittore beat amico di Kerouac e Ginsberg, quella dello sperimentatore di cut-up letterari. Ogni questione viene ripresa, chiarita, estesa. O contraddetta. Il suo pensiero è sempre mobile.
Per lungo tempo Burroughs è stato il campione mondiale dei tossici. Nominate una droga, lui deve averla provata. Nelle prime pagine del libro, un intervistatore si stupisce della sua perfetta forma fisica e della sua eleganza. Si presenta in completo Brooks Brothers grigio chiaro con gilet, camicia a righe azzurre di Gibilterra tagliata all’inglese e cravatta blu scuro tempestata di pois bianchi. Somiglia più a un diplomatico che a un ex tossico capace di restare per ore immobile a guardarsi la punta delle scarpe. Il fatto è che quando iniziano a intervistarlo, Burroughs ha già chiuso con l’eroina. E’ uno scrittore. Ha pubblicato in Francia un libro diventato di culto, Pasto nudo, che lo incoronerà star underground. Ne scriverà molti altri. Nel tempo se lo contenderanno musicisti, attori, artisti à la page.
Per quanto il curatore, Sylvère Lotringer, abbia montato le interviste rendendole scorrevoli, suddividendole in periodi cronologici (o luoghi geografici), è piacevole avvertire tra le righe improvvise idiosincrasie, l’umore storto, il sarcasmo, l’impaccio laconico dell’intervistato. A volte Burroughs finge di non capire le domande. Ed è come se volesse testare l’intervistatore, rendendogli la vita più difficile. A volte tace. Il volume diventa allora il diagramma umorale e tematico di queste performance orali finite su carta. Le droghe, le dipendenze, la passione per le armi, la letteratura, gli scrittori amati, la scienza e le scoperte mediche, la politica, l’economia, l’arte, la musica: le domande sembrano non finire mai. Lo intervistano autorevoli riviste letterarie ma anche oscure fanzine punk. Quanto basta per diventare schizofrenici.
INTERVISTE
William Burroughs
il Saggiatore, 1.239 pp., 65 euro
Una fogliata di libri