recensioni foglianti
Gli internazionalisti
Oona A. Hathaway e Scott J. Shapiro, Neri Pozza, 672 pp., 25 euro
Nel 1914 un avvocato di Chicago osserva le ripercussioni che le dichiarazioni di guerra pronunciate dall’altro lato dell’Atlantico stanno avendo in America: il calo dei titoli sulle piazze d’affari, l’aumento delle tasse, la possibilità che anche i giovani americani siano chiamati alle armi. L’assurdo duello a cui i sovrani europei si erano sfidati, pensò Salmon O. Levinson, minacciava la vita di tutti i popoli e andava una buona volta riconosciuto come crimine, al pari dell’omicidio. Nasceva così il movimento per la messa al bando della guerra. Grazie anche agli sforzi di altri intellettuali come John Dewey e James T. Shotwell, esso riuscì a influenzare la diplomazia ufficiale e portò al trattato di rinuncia alla guerra promosso a Parigi dai ministri degli Esteri francese e americano, Briand e Kellogg, nel 1928. A lungo considerato dagli storici come esempio di vacuità, il trattato fu in realtà un primo passo gravido di conseguenze, segnando un cambiamento radicale nella mentalità giuridica: l’impiego della violenza militare non avrebbe più dato un titolo legale per conquistare nuovi territori o per cambiare la situazione politica esistente. Per attecchire, l’idea avrebbe ancora avuto bisogno della sconfitta delle potenze dell’Asse, ma dopo il 1945 il diritto internazionale avrebbe stabilito il crimine della guerra di aggressione e il divieto di riconoscere nuove situazioni create con la forza.
Il patto Briand-Kellogg è anche lo spartiacque narrativo del libro di Hathaway e Shapiro. Nella prima parte è ripercorsa la storia del “vecchio ordine mondiale”, che accettava la guerra come mezzo legale per rimediare a un torto, quindi come diritto dello stato. Era il mondo in cui i sovrani stilavano eleganti manifesti con le ragioni per cui muovevano guerra, in cui per rispetto all’idea di sovranità Napoleone, che pure aveva portato il caos in Europa, non veniva processato ma ridimensionato a re della minuscola isola d’Elba, e in cui il generale Perry andava al largo del Giappone con le cannoniere per estorcere vantaggiosi trattati commerciali. Nel mondo di oggi, governato dal commercio e dalla cooperazione internazionale, la conquista territoriale è illegale e rimane come rara e ostinata eccezione (Crimea 2014). Di fronte a una violazione dei confini, l’opzione preferita dai due autori è “l’emarginazione” del colpevole: lo stato che ha attaccato viene colpito da sanzioni che lo escludono da tutte le transazioni economiche e dai vantaggi della partecipazione alle organizzazioni internazionali. Si tratta di una tecnica sempre più accurata, per colpire gli apparati dello stato e i settori strategici dell’economia piuttosto che i popoli, che però si ispira, come indicano gli autori, alla messa al bando praticata nell’Islanda di mille anni fa contro i criminali: le sanzioni collettive restano l’unica alternativa alla guerra aperta in una società internazionale ancora da un certo punto di vista “primitiva”, perché priva di tribunali obbligatori e di un governo comune.
GLI INTERNAZIONALISTI
Oona A. Hathaway e Scott J. Shapiro
Neri Pozza, 672 pp., 25 euro
Una fogliata di libri