Anna Karenina, Henrich Matveevich Manizer

Il destino femminile della grande madre Russia

Giulia Ciarapica

Da quando la donna russa è riuscita a fare il suo ingresso nella società, la sua ascesa è divenuta pressoché inarrestabile, anche in ambito letterario

Recita un detto russo che “se l’uomo è la testa, la donna è il collo”, il che indicherebbe l’importanza del ruolo della donna all’interno della famiglia; ma questo proverbio nasconde un significato più profondo legato alla figura femminile, che risale ai tempi del Medioevo e che investe il concetto di terra, di Grande, Santa Madre Russia.

   

Fin dall’antichità l’attività agricola e in generale l’estensione della terra russa venivano associati all’aspetto materno, in particolare a quello della fecondità, tanto che il suolo stesso nella tradizione contadina veniva chiamato “baba”, al femminile. Ma “baba” non è soltanto il termine con cui viene designata la terra, richiama anche un legame più intimo con la cultura e il folklore slavo: a dircelo è Erica Klein (autrice del saggio “Ritratti di Russia al femminile”), che riprendendo le teorie della psicologa junghiana Calrissa Pinkola-Estés parla della Baba Jaga, una strega spaventosa a vedersi che viaggia in un mortaio da lei stessa guidato con un remo a forma di pestello. La Baba Jaga è una divinità primordiale dalla duplice natura, che non veste solo i panni della dea perfida e collerica ma sa essere anche benigna: è una delle raffigurazioni della Madre selvaggia, una madre-terra che è “signora della materia” (da “materia” si risale etimologicamente al termine “mater”, madre) e dunque archetipo radicato nella memoria emotiva della psiche.

     

Questa doverosa premessa è l’aggancio principale attraverso cui arriviamo al cuore della questione: da sempre la storia tormentata di una nazione eroica come la Russia poggia le sue basi sulla donna, evocandone l’identità femminile a partire proprio dal nome. Da quando la donna russa, grazie alle riforme di Pietro il Grande, è riuscita a liberarsi dal confino dell’epoca medievale e a fare il suo ingresso nella società, la sua ascesa è divenuta pressoché inarrestabile non solo in termini dirigenziali ma anche in ambito letterario. Il Settecento delle zarine e la valorizzazione della donna hanno permesso, nel corso di tutto l’Ottocento, la fioritura di un’indimenticabile letteratura russa, resa grandiosa dalla creazione di personaggi femminili di forte vitalità.

 

E’ proprio la figura – tanto attesa in letteratura – di Nataša Rostova in “Guerra e pace” a segnare uno spartiacque tra prima e dopo, e a ridimensionare le eroine di Turgenev e di Puškin, esempi mirabili di integrità e abnegazione: Nataša è la rivoluzione, personaggio femminile inedito che non ha aspirazioni sue, non insegue ideali, né si ingegna per elevarsi a compagna dell’uomo. Lei tende prepotentemente alla propria personale felicità, senza render conto ad alcuno. Nessuno, prima di lei, aveva mai agito in tal senso, ed è dalla sua eredità – come modello di donna reale e di finzione letteraria – che nasce Anna Karenina, l’immarcescibile eroina tolstojana che conserva ancora oggi un’identità moderna a cui il lettore guarda con interesse e immutato trasporto. “Anna Karenina” è chiaramente un romanzo sulla solitudine in famiglia, in cui la protagonista percorre il suo cammino alla ricerca dell’Assoluto: proprio ad una donna Tolstoj affida il compito di ristabilire autenticità e passione in un mondo ormai vittima della mediocrità. Anna è la prima vera donna che osa, che rischia (molto più di Nataša, giacché la posta in gioco è alta) per raggiungere quell’idea di “pienezza” che si porta dentro. Le donne di Tolstoj hanno un valore aggiunto, un guizzo di genialità che ritroveremo nella Elena e nella Margherita di Bulgakov (rispettivamente in “Guardia bianca” e “Il maestro e Margherita”), ma che abbiamo già rintracciato nell’indole – reale, tangibile, tutt’altro che letteraria – delle zarine del Settecento: una su tutte Caterina II, prima donna aristocratica di stampo europeo, madre della Russia moderna e di quella raffinata Russia ottocentesca che il mondo ha accolto nella sua cultura.

     

Perfino quando la Russia diventò “muta” negli anni del terrore (Trenta e Quaranta del Novecento), venne affidato a una donna il compito di parlare per un popolo che aveva perso la sua voce: la poetessa Anna Achmatova, che con la sua lirica d’amore governata da una severa autodisciplina già alla vigilia della Prima guerra mondiale godeva di una straordinaria popolarità, diventò il cuore emotivo e simbolico della Russia, una Russia che ha sempre sposato la necessità di sentirsi sterminata, senza confini e sovranazionale. Una nazione che non riesce a pensarsi fuori dall’abbraccio imperiale. In una parola, Donna.

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