recensioni foglianti
I fucili
di William T. Vollmann, minimum fax, 498 pp., 19 euro
1845. Un celebre esploratore sta per addentrarsi nuovamente in una landa di ghiaccio, alla ricerca d’un passaggio che potrebbe rivoluzionare i collegamenti e che invece inghiottirà lui e i suoi compagni, divorati dal freddo, dalla malattia, forse dal cannibalismo. E il narratore che lo rievoca sul punto di lasciare l’Inghilterra tra i moniti degli amici immagina anche la sua sorridente risposta: “Qui giace Fetonte, auriga del cocchio di suo padre, non seppe guidarlo e cadde, ma fu impresa grandiosa.” In questi versi di Ovidio lampeggia il leitmotiv che percorre l’intera arcata dei “Sette Sogni” di Vollmann, storia simbolica dell’America impostata appunto sulle Metamorfosi, un susseguirsi di ere scandite ogni volta dall’introduzione di un nuovo elemento, fisico o concettuale. La bramosia spasmodica “per diventare sempre qualcos’altro” porta l’umanità da uno stato di natura a uno di feticci tecnologici, che a loro volta continuano a trasformare noi e il mondo. In questo sesto sogno (ben tradotto da Cristiana Mennella) ambientato in Canada e Groenlandia, una vasta “casa di specchi senza specchi” dove tutto ha un prezzo, persino respirare, la tragica missione di Franklin si sovrappone, oltre un secolo dopo, con le ricerche di un misterioso bianco, le migrazione forzate degli Inuit nel ’55, l’estinzione della fauna locale e l’introduzione dei fucili a ripetizione. E’ davvero meritoria l’iniziativa editoriale di offrire tutti i volumi già disponibili di questo possente progetto, capace di unire l’apparentemente insignificante al silenzio eterno che atterriva Pascal: “Ricordavi quante rocce piatte color zolfo si erano scomposte in lastre attaccate in fila come fette di una pagnotta… poi, se volevi, potevi lanciare le pagine in un lago artico, una alla volta, e guardarle spezzarsi in due al contatto con l’acqua, sprofondare, e giacere scintillando fra i sassi verdastri, mentre il vento increspava l’acqua che le ricopriva, come per voltarle, ma non si sarebbero più voltate né ricomposte. Tutti i libri sono così; stanno spalla a spalla sugli scaffffali delle biblioteche; forse all’inizio sono ‘di successo’, forse no, ma alla fine restano anonimi, non letti, dimenticati; e così deve essere, perché così è la vita”. Come Melville e Dante, Vollmann si volta spesso verso di noi, rivolgendoci direttamente la sua saggezza malinconica e il suo umorismo nero (“preso nell’insieme, il volto sembrava esprimere un disgusto confuso, inebetito. Mangerai la mia carne, sembrava dire. Lo so io e lo sai anche tu. Non posso farci niente, e al pensiero mi viene da vomitare, ma anche un po’ da ridere. Non avresti mai pensato di arrivare a tanto, vero?”), mentre tutti e tre, personaggi, narratore e lettore, arrancano in un deserto di ghiaccio, un’avanzata personale e collettiva, una spedizione comune al tempo stesso magnifica e desolante, dove ogni vittoria è, in fondo, una sconfitta peggiore: “Ogni scelta, non si sa come, sembra esiliarmi, proprio quando penso di conquistare una nuova meta”.
I FUCILI
William T. Vollmann
minimum fax, 498 pp., 19 euro