recensioni foglianti
Il grande incendio
di Jonathan Israel, Einaudi, 872 pp., 38 euro
Una gloriosa tradizione storiografica, che ha il suo capostipite nelle Riflessioni sulla Rivoluzione francese di Edmund Burke e nel Novecento conta voci autorevoli come quelle di Hannah Arendt e di Gertrude Himmelfarb, contrappone nettamente l’illuminismo americano e quello francese, e di conseguenza le rispettive rivoluzioni: equilibrati e volti a rigenerare il meglio delle tradizioni politiche britanniche i primi, estremi e determinati a costruire un assetto sociale completamente nuovo i secondi. Inoltre, “gli storici e i filosofi europei e latinoamericani a cavallo tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo erano troppo interessati a creare delle storie nazionali indipendenti l’una dalle altre”, così che “la rivoluzione [americana] cominciò a essere considerata dagli intellettuali non americani un evento marginale della storia moderna”. Ma entrambe queste posizioni sono profondamente sbagliate, afferma Jonathan Israel, grande studioso dell’illuminismo, da tempo impegnato in una battaglia culturale per sostenere la tesi che espone sistematicamente in Una rivoluzione della mente. L’Illuminismo radicale e le origini intellettuali della democrazia moderna e impronta tutti gli altri suoi libri: le conquiste di tutte le democrazie del mondo degli ultimi secoli affondano le loro radici nelle dottrine dell’illuminismo radicale.
Anche quest’ultimo, documentatissimo saggio, dedicato alla rivoluzione americana e al “grande incendio” che da essa si propagò al mondo intero, muove dal medesimo presupposto. La vera linea di frattura infatti non corre secondo Israel attraverso l’Atlantico, bensì, all’interno di tutti i paesi coinvolti, fra “due diversi tipi di illuminismo, due ideologie rivoluzionarie, quella moderata e quella radicale”. I moderati, capitanati da John Adams, “ammiravano Locke, l’eredità della Gloriosa rivoluzione e soprattutto il sistema di governo misto britannico. I seguaci di Jefferson e Paine, al contrario, abbracciavano l’universalismo democratico e le tendenze antiaristocratiche di Condorcet, Brissot e della Rivoluzione francese”.
La lotta fra queste due correnti di pensiero attraversa i primi decenni della storia degli Stati Uniti, dall’atteggiamento verso la Gran Bretagna al tempo della guerra fino alle posizioni nei confronti dei neri e dei nativi americani; ma soprattutto si ripropone in termini simili nei dibattiti che si sviluppano fino alla metà dell’Ottocento in tutti gli altri paesi. La parte più cospicua e più interessante del libro infatti è dedicata a indagare gli sviluppi del dibattito fra moderati e radicali nelle diverse situazioni locali, da Haiti al Sudamerica, dall’Irlanda alla Grecia, dall’entusiasmo di Gaetano Filangieri – che sognava di trasferirsi in Pennsylvania, “rifugio di virtù”, “terra di eroi” – all’“américanisme”, l’interesse per la vita e la cultura yankee che contribuì potentemente a sostenere la resistenza democratica nei paesi europei all’epoca della Restaurazione.
IL GRANDE INCENDIO
Jonathan Israel
Einaudi, 872 pp., 38 euro
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