recensioni foglianti
Corpo a corpo
Silvia Ranfagni
Edizioni e/o, 160 pp., 16 euro
Pensi sempre: non ho tempo. Non ne ho per me, figuriamoci per un altro. Non ne ho adesso, figuriamoci domani, o tra un anno. E sei a posto. Ti dici: niente figli, non fa per me, ma pure se facesse per me non ho tempo. Poi arriva domani, arriva l’anno dopo, e la domenica pomeriggio sei libera e in verità lo sei anche in altri pomeriggi infrasettimanali. E pensi di nuovo e più a lungo, perché ne hai il tempo, e può capitare che tu ti accorga che quei tuoi pomeriggi non sono liberi, ma vuoti; la tua libertà è un vuoto; “i film sono già tutti un po’ visti”. Bea, la protagonista di questo libro divertente e pieno d’ansia (però ansiogeno no, mai), la conosciamo in questo punto della sua vita. Quel punto in cui le cose diventano improvvisamente insufficienti. Tutte le cose: il talento, il lavoro, l’amicizia, i concerti, le passeggiate, i traguardi. E allora prendi “a salutare per la strada creature naneiformi che un tempo ti inquietavano”, l’idea di un figlio smette di essere come quella di vivere in un igloo e decidi di farne uno. Certo, ci sono quelli che dicono che i figli non si fanno per un motivo, specie se quel motivo è che il tuo Negroni non risponde più quando gli domandi che senso abbia la tua vita, ma non in questo libro, grazie al cielo. In questo libro non ci sono soloni, ma soltanto persone che sbagliano, quasi sempre, quasi tutto, e quando non sbagliano pensano comunque di averlo fatto. Bea un compagno non ce l’ha e un bambino lo fa con gli spermatozoi di un pescatore finlandese che ha un profilo simpatico nel database della banca mondiale dello sperma. Poi vengono le analisi, moltissime, forse troppe, tanto che “questa parata di indagini ti dà la sensazione che la morte, più della vita, incomba sull’evento”. Bea è bellissima, sempre irrisolta, incazzata, dubbiosa, sopraffatta, egoista, e molte altre cose incompatibili con la maternità, che però le riesce ed è questo il punto (uno dei punti di questo romanzo che ti dà del tu e ti fa ridere così tanto che non t’accorgi quando t’abbraccia): si può essere madri senza migliorare. Perché un figlio ti spettina, ti disturba, ti sventra, ti rende razzista, ti fa preferire un donatore caucasico e una tata occidentale perché “il terzo mondo è un disastro”, non ti lascia energia per il senso di colpa, ti spedisce dall’analista, ti ammala. Un figlio, che Bea chiama per tutto il tempo “Il Corpo”, non ti ama nemmeno: la sua è dipendenza, “ama te solo perché non può scegliere”. Silvia Ranfagni, in questo romanzo, non ha indicato alcuna strada, ha raccontato una cosa così com’è, l’ha desacralizzata e, facendolo, l’ha mostrata essenziale. Ci sono tanti modi di essere mamma quante sono le mamme del mondo. Bea, che è restia a scoprire e scegliere il suo modo, perché si odia, perché sa d’essere inadeguata, si affida a una tata eritrea, Elsa. Attraverso Elsa, e il suo amore, e le sue disobbedienze, Bea capirà che il bisogno enorme che aveva di un figlio era il bisogno di qualcuno che le rendesse amata la rinuncia.
CORPO A CORPO
Silvia Ranfagni
Edizioni e/o, 160 pp., 16 euro