recensioni foglianti

In tutto c'è stata bellezza

Piero Vietti

Manuel Vilas
Guanda, 416 pp., 19 euro

"La mia memoria mette in piedi una visione del mondo catastrofica, lo so, ma è quella che io sento vera. Non puoi rinunciare alla catastrofe, è il grande ordine della letteratura, il vento di tutte le cose che sono state". Dove vanno a finire le cose? Dove le persone che abbiamo amato? E quelle da cui siamo stati sfiorati e abbiamo perduto per sempre? C’è un luogo in cui ritroveremo i nostri genitori, i nostri nonni, le persone il cui ricordo si perde nel tempo? Ogni pagina di In tutto c’è stata bellezza è una dolorosa lotta corpo a corpo con la fine, un accorgersi amaro della solitudine in cui la vita è immersa, un inseguimento malinconico di volti e cose che non ci sono più. “Nel bel mezzo dello svanire generale di tutte le cose” lo scrittore spagnolo Manuel Vilas si accorge che “le conversazioni che avevo avuto con mio padre erano l’unica cosa che avesse valore”. Ma suo padre non c’è più da molti anni, così come sua madre. Vilas allora si mette a nudo, squarcia la sua carne per darla in pasto ai lettori, consegnandoci un libro doloroso, nostalgico ma mai retorico. Divorziato, appena sopportato da due figli troppo grandi, Vilas si interroga in solitudine sul mistero della vita e della morte. Lo fa raccontando la storia della sua famiglia, una storia di povertà, pazzia, grandi dolori, separazioni, cose non dette e amori silenziosi. Non crede in Dio, ripete che il destino delle cose e delle persone è morire e dissolversi. Eppure, capitolo dopo capitolo non smette di urlare, di domandare a suo padre e sua madre “dove siete finiti?”, di sentirli accanto a sé, di vederli in tutte le cose, nei gesti che fa, nello sguardo che lui stesso getta sul mondo. “Chi doveva mangiare la torta che non si vede quasi” in quella foto di nonna Cecilia? “Cosa ci fanno quei regali sul letto della stanza piccola dove non dorme mai nessuno?”. Nelle domande che costellano il libro c’è una resistenza alla fine, un sospetto non detto che tutto si possa ritrovare, un giorno. “Io sono soltanto questo: speranza di rivedervi”, scrive Vilas parlando ai propri genitori morti, ricordando i viaggi al mare, le serate davanti alla tv con il padre, le partite a Uno, il salotto di casa in cui non ci si poteva sedere perché da un momento all’altro sarebbero potute passare la amiche borghesi di mamma, che però “non sarebbero venute mai più”. E’ dagli oggetti che comincia la resistenza: sebbene destinati a scomparire, sono segni, modi con cui i suoi gli parlano ancora. “La morte è la più riuscita espressione del mistero”, dice a un certo punto. Più ci si addentra nelle pagine tristi di quest’opera, più si conoscono i personaggi della “famiglia di sconvolti” dell’autore – che chiama con i nomi di grandi compositori, Wagner, Bach, Brahms, Vivaldi, Monteverdi… – più li si ama e si desidera con lui che non siano scomparsi per sempre. Non è solo un gioco letterario, parole che messe su carta rendono immortale un ricordo. C’è la consapevolezza che “non guarderemo mai più il sole insieme, mamma, passeranno milioni di anni e non ci vedremo”, ma anche il desiderio di potere proteggere i figli “fino all’ultimo minuto dell’eternità”. Non c’è fine a questa lotta continua, né consolazione definitiva per il dolore della perdita, “la paternità e la maternità sono le uniche certezze. Tutto il resto quasi non esiste”. L’esistenza è imparare a essere figli e padri. E anche se tutto muore, “l’unico peccato che può commettere un uomo è smettere di servire la vita”. 

 

IN TUTTO C'E' STATA BELLEZZA
Manuel Vilas
Guanda, 416 pp., 19 euro

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.