Recensioni foglianti

Il Taglio

Giorgia Mecca

Anthony Cartwright
66thand2nd, 153 pp., 15 euro

Datti un’occhiata intorno, bellezza. Guarda quanto ci guadagni a votare”. A Dudley, nella periferia della periferia inglese, la democrazia più che una conquista sembra essere un tradimento. Da queste parti si convive con il degrado e le macerie. Il nuovo millennio si è portato dietro le conseguenze della deindustrializzazione e il lavoro a cottimo. Regno Unito 2016, sono i giorni del referendum sulla Brexit, gli inglesi devono decidere se rimanere in Europa. Grace è una giovane regista londinese, sta girando un documentario e vuole conoscere l’umore dell’elettorato alla vigilia del voto. Per questo si allontana dalla capitale e si trasferisce per un periodo nel Black Country, vecchia zona di miniere di ferro e di carbone. “Qui la gente ne ha le tasche piene”, un uomo vestito con una tuta da lavoro logora risponde così alle domande della donna. Cairo è un ex pugile dilettante che adesso fa l’operaio; sembra provenire “da un’incisione di squallore vittoriano”, invece è un’immagine reale, contemporanea, non troppo distante dalla City e dalle sue promesse. “La gente è stanca. Stanca dei cambiamenti, del mondo che le passa davanti, stanca dell’altra gente che si prende le cose che tu e altri come te hanno fatto per loro, stanca di sentirsi ripetere che quello che si credeva giusto in realtà era sbagliato”. Il lavoro ha sempre logorato le persone, ma qui si tratta di una sensazione diversa: “E’ una stanchezza che il riposo non riesce a curare, è come una pestilenza che se li mangia da dentro”. Lontano dai grattacieli, le persone sono state illuse e poi abbandonate: hanno tutti perso qualcosa, sicurezza, lavoro, casa, dignità. Lei può solo intuirlo. Grace e Cairo vengono da due mondi diversi, lo sanno entrambi. Si innamorano comunque: lei è una donna che si lascia dietro dei bei casini e va avanti, lui sopravvive a fatica, è un vecchio boxeur che sul ring veniva ingaggiato soltanto perché faceva fare bella figura ai suoi avversari. Si è fatto prendere a pugni in testa per campare, è ancora vivo, ma è stato sconfitto. I due fanno parte di schieramenti contrapposti: a dividerli c’è un velo invisibile, un pregiudizio reciproco, una concezione del destino opposta. Un giorno, mentre Grace sta facendo delle riprese, Cairo le dice: “Quello che voialtri volete dire è che è tutta colpa dell’immigrazione. Che noi siamo tutti razzisti. Chi siamo tutti stupidi. Non volete sentire che le cose magari sono un po’ più complicate. Così vi sentite meglio. Non avete mai preso in considerazione l’ipotesi che magari il problema siete voialtri”. Nelle campagne i cittadini non sanno cosa farsene dell’Ue. “Vuoi forse dire che la gente qui voterà contro qualsiasi cosa per cui la presunta élite voterà a favore?”, chiede Grace. “Ecco che ci ricaschi”, le risponde Cairo “Non è mica presunta. L’élite c’è, eccome”. Nel suo quarto romanzo Il Taglio”, Anthony Cartwright compie un viaggio nell’Inghilterra che prima era operaia e adesso non sa nemmeno cos’è per dare un nome e una voce alle ragioni di una classe operaia abbandonata e disillusa. “Il resto del paese si vergogna di noi. In un modo o nell’altro vorreste che scomparissimo. Andrà a finire che sorgeranno campi, che si costruiranno muri, aspetta e vedrai”. 

 

IL TAGLIO
Anthony Cartwright
66thand2nd, 153 pp., 15 euro

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