recensioni foglianti
Le galanti
Filippo Tuena
il Saggiatore, 672 pp., 32 euro
Un koan zen caro alla Yourcenar domandava “Qual era il tuo volto prima che tuo padre e tua madre s’incontrassero?”. E’ in fondo la stessa domanda di questo viaggio impossibile a riassumersi tra libri, luoghi, quadri, tragitti in motorino, sogni e funerali, che ricorda un poco L’Anatomia della Malinconia di Burton e si può parimenti aprire a caso o seguire da cima a fondo con l’esplicito fine di perdersi e ritrovarsi. Farci guidare dai nostri ricordi, dai nostri amori piccoli o grandi a fronteggiare nessi ed echi di cui non eravamo consapevoli è la segreta e comune risorsa grazie alla quale possiamo risovvenirci del nostro vero paese interiore, come lo smemorato della poesia di Montale, giacché “il nostro futuro è tutto nel ricordare il passato”. Incontriamo così le rovine di Micene dove il tempo forse ha annientato solo il superfluo, la seducente ambiguità di Elena, immagine perenne del divino e del bello, quelle due potenze che sanno sempre come beffarci perché in esse “tempo e luogo non sono univoci” e “puoi innamorarti solo di quello che richiama il tuo passato”, ma anche una staffetta di sguardi che indugiano sul sonno di Ermafrodito da Ovidio a Canova e Barry X Ball. Nella Giovanna Tornabuoni del Ghirlandaio è custodita l’ennesima, discreta ma irrefutabile lezione che non possiamo mai conoscere davvero chi abbiamo vicino. Giovanni dalle Bande Nere brandisce il suo arto mozzato come fosse un’arma poco prima di essere definitivamente “occupato dalla morte”. Ma sono solo alcune immagini di un caleidoscopio nel quale acquerelli delicati e sereni cedono il passo alle statue meditabonde dei mausolei. Contrapposta alla voracità disattenta del turismo di massa, i cui riti brutali prostituiscono e azzittiscono anche la vita interiore, Tuena ci offre una splendida testimonianza dell’attenzione, tempo e silenzio necessari a riconoscere i debiti che non si saldano, quelli stipulati con parole e opere che costituiscono il mosaico del nostro volto autentico, “la cella segreta della conoscenza di sé”, come la definiva la già citata Yourcenar. Una lunga galleria dalle ombre fitte che l’autore percorre insieme al lettore, voltandosi per scambiare un commento, condividere un’occhiata d’intesa silenziosa. E per sua esplicita ammissione non è neppure importante sottoscrivere le stesse passioni, inseguire gli stessi fantasmi. Oltre ad arricchirti col dono delle sue felici ossessioni, della sua erudizione e finezza, l’altro grande merito d’un simile esercizio di contemplazione (quanto mai necessario al giorno d’oggi, ma quando mai non si è dovuto lottare contro la trascuratezza di sé?) è quello di riconsegnarti anzitutto i tuoi incomunicabili struggimenti. Il titolo ha un suo esplicito perché, ma chi scrive gli ha subito attribuito un proprio significato particolare. Se le Furie dei rimorsi ormai placati diventavano le Benevole, i Greci conoscevano anche alcune signore Galanti. Nove, e tutte dee. E sono loro che a ciascuno sorridono da luoghi e volti diversi.
LE GALANTI
Filippo Tuena
il Saggiatore, 672 pp., 32 euro
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