È da lì che viene la luce
Emanuela E. Abbadessa
Piemme, 320 pp., 18,50 euro
Ci vuole un bel coraggio a fare domande su Antinoo”. Fu questa la memorabile risposta del British Museum allo studioso ottocentesco John Addington Symonds, che sorprese i conoscenti presentando loro come un vecchio faccendiere bisognoso chi invece si rivelò essere un giovane e prestante gondoliere veneziano. Symonds apparteneva alla generazione di intellettuali omosessuali che precedettero, scansarono e danzarono sul bordo di scandali come quello che travolse Oscar Wilde (punito per tutti a nome della società vittoriana anche perché irlandese), un mondo che ruotava attorno a emblemi come Ganimede, Alessi e Coridone, i sonetti di Michelangelo e i dialoghi di Platone, e si entusiasmava per le foto di giovani nudi maschili ispirate agli idilli campestri di Teocrito.
Per tutti costoro, spesso provenienti da nazioni laddove non vigevano neppure le concessioni del codice napoleonico, il Mediterraneo e il Mezzogiorno italiano costituivano la patria eletta d’una vitalità più libera e serena: il meridione luminoso e sensuale di Wincklemann, Wilde, Gide (e, in misura parzialmente simile, Nietzsche), l’estate italiana che fa slacciare il colletto al Von Aschenbach finalmente sorridente in “Morte a Venezia” di Visconti, un gesto apparentemente secondario ma che invece esprime un intenso struggimento di liberazione emotiva e spirituale, un venire a pace con se stessi e le nietzscheane “ragioni del corpo”. Le fotografie di nudi più celebri ed ammirate erano quelle pastorali di Wilheim Von Gloden, ed è proprio ai suoi anni a Taormina che si ispira questo romanzo della musicologa e scrittrice catanese, dedicato a un suo immaginario simile (per ceto, nazionalità e vocazione artistica) e alla sua amicizia con un giovane siciliano e una governante nubile che continua a celare un segreto, negli anni dell’ascesa di quel fascismo che nella storia reale si mostrò brutalmente avverso a molta eredità dello stesso Gloden.
Gli scatti di ragazze alle fontane o adolescenti ricciuti tra le rovine magno-greche ambiscono a immortalare la massima naturalezza tramite il massimo dell’artificio, esprimere una verità ideale grazie a una menzogna, il mondo dei Malavoglia che si carica di valenze mitiche per chi si è formato con Novalis e Wagner, rivelandosi così uno specchio dei suoi stessi desideri, ancora avvolti dalla nebbia del timore e della repressione sociale e psichica. Una vicenda che in parte ricorda il “Demone e dèi” di Bill Condon, ma in cui l’eterno dramma di Pigmalione si fa anche una tragedia dell’autocoscienza e della paternità, una storia di tradimenti e perdono che racconta la crescita mutua dei vari protagonisti, la solidarietà tra i riprovati e gl’incompresi nello schermarsi con un’egida di rispettabilità sociale dalle maldicenze e stigmatizzazioni, e la feroce gelosia dei poveri verso chi minaccia di sostituirsi a essi nella benevolenza dei propri benefattori. Non c’è infatti malizia più ottusa e tenace degli ex favoriti che vogliano colpire un proprio idolo.
È DA LÌ CHE VIENE LA LUCE
Emanuele E. Abbadessa
Piemme, 320 pp., 18,50 euro
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