Nuovo dizionario affettivo della lingua italiana
Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta
Fandango, 230 pp., 18 euro
Quando Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta hanno proposto ad alcuni scrittori di partecipare alla seconda edizione del Dizionario affettivo della lingua italiana (la prima risale a dieci anni fa), hanno accettato in 368. Tra quelli che, invece, hanno declinato, alcuni hanno motivato il rifiuto: dovevano riprendersi da una caduta dagli sci, avevano bisogno di stare in silenzio, erano impegnati ma ne avrebbero di certo scritto nella loro rubrica (l’intreccio di politica e letteratura all’italiana eccolo qua), trovavano la proposta “due volte immorale”. Le parole sono inesatte: ha scritto Simone de Beauvoir che il sostantivo rosso non sarà mai rosso quanto una mela rossa, e che la letteratura, e il suo gigantesco sforzo, staranno sempre nel tentativo di avvicinare il rosso della parola a quello della mela, la scrittura alla realtà e, di più, alla verità.
Le parole, d’altra parte, non sono inamovibili e il potere di uno scrittore, il suo talento più grande, sta nel modo in cui riesce a imprimere loro un movimento che le sposti, o soltanto le allarghi. Qui sta il senso di questo dizionario, e dev’essere per questo che ad alcuni è parso “immorale”: concede un arbitrio agli scrittori e li investe di un potere simile a quello del buon samaritano che, per migliorare la legge, la infrange. Tuttavia, agli ammalati di seriosità, dev’essere sfuggito che non era intenzione dei curatori sostituire il Devoto Oli con questo Fandango, anche se sarebbe bello se per tutti gli italiani l’alluce non fosse semplicemente un dito, ma “Il primo dito del piede che illumina l’interno di una scarpa”, come ha scritto Giancarlo Tramutoli.
Si chiama Dizionario affettivo perché ciascun autore ha definito la propria parola preferita. Per Barbara Alberti è “impossibile”, perché per lei era impossibile sceglierne una e basta: “La parola che mi piace di più è quella messa al posto giusto”. Per Antonio Pascale è “cura”, e gli è servita per riflettere su quella canzone di Franco Battiato (“La Cura”, appunto), in cui lui dice a un certo punto: “Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare”. “Tu non sei così”, avevano scritto negli occhi le amiche insieme alle quali Pascale ascoltava il pezzo (tutti sogniamo d’incontrare qualcuno che s’adoperi per lasciarci giovani per sempre senza che a noi tocchi alcun onere, neanche lo scrub), finché a lui era stato chiaro che sbagliavano, che la responsabilità personale non si può demandare e, soprattutto, che l’amore non è una dichiarazione di potenza ma di limiti. Nicola Lagioia, più noioso di Saviano e del suo spiegone sul “buonismo”, ha scritto del coraggio: “Correre nudi verso la meta dei propri desideri” (non fatelo, per carità, non siate letteralisti). Grazie al cielo, Arbasino è sempre Arbasino: “Coinvolgere. Una richiesta di imbarcarsi e implicarsi in ‘eventi’ spesso sputtanati e gratuiti, a tutto vantaggio dei protagonisti di INIZIATIVE”, altra macabra parolaccia che, come parecchie altre, segnala lo sfregio della lingua, quando per colpa dei pr accade che la funzione faccia l’uso.
NUOVO DIZIONARIO AFFETTIVO DELLA LINGUA ITALIANA
Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta
Fandango, 230 pp., 18 euro
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