Fuoco al cielo

Nadia Terranova

Viola Di Grado
La nave di Teseo, 233 pp., 19 euro

Viola Di Grado è la scrittrice siciliana più nordica mai nata sull’isola, e anche la più orientale. La sua scrittura è fatta di aria ghiacciata e precisione nipponica, di visioni di terre desolate e sottofondi ovattati di pericoli, è fatta dei crudeli sussulti di un’umanità spietata e di amori che si aggrappano alla carne, di musiche perfette dentro le frasi, nelle parole. La sua naturale capacità di raccontare la distruzione tanto di un corpo umano quanto di una relazione si è trasformata in ciascuno dei suoi romanzi, amati e tradotti all’estero, e Fuoco al cielo è la nuova conferma del suo talento. Tutto accade a Musljumovo, remoto villaggio ai margini della “città segreta”, ai confini della Siberia, dove, a metà del secolo scorso, tre catastrofi nucleari hanno sterminato la popolazione e la Russia ha messo a tacere i sopravvissuti impedendo loro i contatti con l’esterno. In un primo momento i sovietici avevano promesso di liberare gli abitanti ma poi non c’erano i fondi, allora fecero loro siglare un patto in cui si impegnavano a non divulgare i segreti di stato per venticinque anni. Infine “erano quasi tutti già malati, con il diabete e le bolle purulente, fotofobici e allergici a tutto”. Il male non è solo nel corpo, il male è “la rogna nella testa”: chi sopravvive è talmente legato a una terra di scorie e detriti da aver fatto coincidere la vita con la presenza della malattia, con le preghiere notturne in riva al fiume della morte. Sono “fantasmi vivi, barcollanti”, è “un’umanità di risulta” a ridosso delle acque imputridite dal pattume radioattivo. C’è Tamara, che da lì non si è mai mossa e ha visto morire i genitori, e c’è Vladimir, arrivato da Mosca per portare sollievo e poi rimasto, “un piccolo dio incastrato in un reattore nucleare”. Anche Tamara sembra una divinità quando si trucca pesante, va nei locali e confonde il sesso con l’amore e l’amore con l’intossicazione. Quando rivolge il coltello contro sé dentro una casa-gabbia, ultima scatola cinese di un villaggio-gabbia, di una regione-gabbia. Quando stringe la creatura aliena venuta a sostituire il figlio morto subito dopo il parto: in quella pagina Viola Di Grado dipinge una natività allucinata – è Dio in persona che ha telefonato a Tamara per dirle che suo figlio era tornato, un dio assente da ogni altra scena, da ogni altro cuore. L’amore tra Vladimir e Tamara è famelico, epidermico, violento. Hanno bisogno di tutto, dell’odio che dividendoli li unisce e della pazzia che declinano mentre si rifugiano nei corpi credendoli un dono divino e ne fanno “tane perfette per mettersi al riparo dagli agguati della mente”. La mente è malata sempre, il corpo può salvarsi. Forse. Ma non importa neanche quello, alla fine le sagome di Tamara e Vladimir si confondono con i contorni neri di Musljumovo, come in una fotosintesi distorta, come se la terra li avesse inghiottiti subito dopo l’ultima pagina, lasciando al lettore il peso, terribile e densissimo, di tutte le loro domande. 

 

FUOCO AL CIELO
Viola Di Grado
La nave di Teseo, 233 pp., 19 euro

 

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