Un soffio di vita

Giuseppe Fantasia

Clarice Lispector, Adelphi, 194 pp., 16 euro

Scrivere esiste di per sé? No, è solo il riflesso di qualcosa che pone le domande. Io lavoro con l’inatteso, scrivo come scrivo senza sapere come o perché, per fatalità di voce. Scrivere è investigazione”. Lo dice l’Autore, uno dei protagonisti di questo libro postumo di Clarice Lispector (nata nel 1920 e morta nel 1977, quando aveva solo 57 anni), una sorta di testamento letterario della scrittrice ucraina, ma brasiliana d’adozione, “il suo libro definitivo scritto nella sofferenza”, come lo definisce nella presentazione Olga Borelli, l’amica di sempre che le fu accanto negli ultimi anni della sua vita assieme al figlio Paulo. “Un testo per iniziati”, suggerisce il bravo traduttore, Roberto Francavilla che, grazie alla sua indagine obliqua, è riuscito a tradurre i neologismi adottando soluzioni plausibili. Non è facile entrare nella mente del protagonista, ma questa è forse una delle cose più belle di questo libro da iniziare senza una regola precisa, uno di quelli a cui abbandonarsi come se fosse un sogno. Si entra in una stanza che conosciamo, si apre una porta e invece di trovare la stanza che ci aspettiamo, ce n’è un’altra o un luogo che non c’entra nulla, un giardino, una strada o altro ancora, proprio come in un sogno, proprio come fa già un grande regista come David Lynch, maestro del genere. Qui l’Autore pensa e parla, riflette su di sé e la sua condizione che è quella di “un uomo che vive senza pelle” una vita “che è un unico giorno” visto che la realtà è strana e irreale.

 

Per cercare di comprendere questa vita che non ha definizione, quasi fosse un dio, “crea” Angela Pralini, la donna di cui è innamorato, la sua vertigine, il suo riverbero, il suo riflesso, il suo sostrato immateriale, tutto ciò che avrebbe voluto essere, una persona che vive e fa cose al posto suo. Entrambi sono liberi in uno spazio libero “in un infinito campo dove si drizzano le spighe dorate”, ma dove finisce l’uno e dove inizia l’altro? Si confrontano, parlano in un dialogo immaginario in cui il tempo e il mondo trovano il loro spazio assieme alla storia, agli esseri viventi e inanimati, alla preghiera e alla morte fino a confondersi.

 

Ad aiutarli in tal senso, le parole usate dalla Lispector che sono resti della demolizione di un’anima”, tagli laterali di una realtà che sfugge, da lei già analizzata nel suo primo romanzo, Vicino al cuore selvaggio (Adelphi, 1987) e continuata in Acqua viva (2017), grazie a parole che sono necessarie per afferrare “l’istante adesso”. Scrivere, fa dire al suo Autore, è molto pericoloso, perché è pericoloso interferire con ciò che è nascosto, ma lui lo fa come se fosse in gioco la vita di qualcuno, probabilmente la sua. “Vivere è una specie di follia che la morte commette”, che vivano, dunque, i morti “perché viviamo in loro”. Tutto sembra molto semplice e invece non lo è, perché questo libro, silenzioso e fresco, venuto fuori dal nulla, non ha trama né confini. Trattatelo come si deve.

 

UN SOFFIO DI VITA
Clarice Lispector
Adelphi, 194 pp., 16 euro

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