Ateismo e modernità
La recensione del libro di Massimo Borghesi, Jaca Book, 249 pp., 22 euro
All’indomani della Seconda guerra mondiale, in cui molti videro una vittoria dell’ateismo maturata in secoli di vita dello spirito europeo, ha luogo un dialogo di prima grandezza sul rapporto tra la modernità e la fede. Henri de Lubac, Jacques Maritain, Étienne Gilson, Cornelio Fabro e Augusto Del Noce cercarono continuamente il confronto tra loro e furono sempre sensibili alle sollecitazioni del tempo in cui vissero – la Guerra fredda e gli incerti inizi dell’Unione europea. La ricostruzione di questo momento della storia intellettuale ha il merito di mostrare nessi, derivazioni e corrispondenze tra pensatori e posizioni lungo tutto l’arco della vita dell’occidente cristiano, svelando che ci sono molti modi di essere atei. C’è l’ateismo come desiderio di tornare alla pienezza e grandezza di una vita solamente “umana” (Nietzsche); l’ateismo che decide di postulare la naturalezza della morte, individuale e cosmica, e di escludere ogni idea di redenzione; l’ateismo che è richiesta di sicurezza e di pacifico godimento della vita di fronte alla violenza degli integralisti religiosi (i libertini del Seicento e Sloterdijk). C’è, ancora, l’ateismo come principio di disperazione che si insinua sotto la maschera del Barocco, quando le guerre confessionali rompono l’unità cristiana e gli uomini affidano a uno stato machiavellico tutto il potere temporale. O infine l’ateismo come progetto di edificazione della “città dell’uomo”, un’autoredenzione nell’al di qua che “non lascia traccia alcuna di Dio” nella storia (Comte).
La sfida dell’ateismo ha dettato i termini del confronto e quindi del rilancio della persuasività e della vitalità, anche sociale e politica, della fede cattolica. Gli autori qui allineati in una tradizione “italo-francese” – in alternativa alla filosofia moderna “tedesca” culminante in Hegel e Marx – discutono, con accenti diversi, la possibilità di un incontro positivo tra fede e libertà, cristianesimo e modernità. Anche oggi ci sono diversi modi di porsi, da cristiani, di fronte alla politica. Alcuni penseranno che l’unica cosa da fare è mantenere le forme tradizionali del potere (stato e diritto) per salvare la residua sostanza del “popolo” cristiano. Altri guardano con fiducia alle dinamiche del mondo e indicano alla religione il suo vero compito nel favorire l’universalismo. Altri si tirano fuori dalla politica per costruire ripari contro l’inclemenza del tempo e perseguire una vita cristiana più intensa in piccole comunità. Borghesi sembra guardare alla possibilità di una via media, accostabile all’illuminismo cristiano di cui Giuliano Ferrara ha parlato su questo giornale: una rinnovata presenza dei cristiani nello spazio pubblico, nel rispetto dell’autonomia della politica intesa come regno temporale della ragione.
Via media che non può che confrontarsi con la forma politica dell’Europa, nella consapevolezza che essa non può tornare a identificarsi con la cristianità e che non ha più un ruolo centrale nelle sorti della stessa fede cristiana.
di Massimo Borghesi
Jaca Book, 249 pp., 22 euro
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