Una vita senza fine
La recensione del libro di Frédéric Beigbeder, Bompiani, 304 pp., 19 euro
La vita è un massacro. Una strage da cinquantanove milioni di morti all’anno. 1,9 morti al secondo. 158.857 morti al giorno. Dall’inizio di questo paragrafo, nel mondo sono morte una ventina di persone, di più se leggete lentamente”. Scrive così Frédéric Beigbeder all’inizio del suo nuovo romanzo intitolato Una vita senza fine, edito da Bompiani, dove l’ex mauvais garçon intraprende uno sconclusionato percorso alla conquista dell’immortalità. Il protagonista della vicenda Frédéric, alter ego dell’autore, è una specie di star del web: presentatore della prima trasmissione chimica al mondo. “E’ una trasmissione di dibattiti in cui organizzo risse su temi d’attualità. L’originalità del format consiste nel fatto che tutti gli ospiti devono obbligatoriamente ingoiare una pasticca un’ora prima della messa in onda: Ritalin, metadone, Captagon, Xanax, Roipnol, Lsd, Mdma, Cialis, ketamina o Stilnox, a caso”. Superati i cinquanta, inizia a sentire i primi segni di cedimento fisico e in seguito a una promessa fatta, davanti a un Hendrick’s tonic al cetriolo, alla sua primogenita seduti in un bistrot parigino: “Non ti preoccupare piccola, d’ora in poi non morirà più nessuno”, inizia una serie di viaggi in giro per il mondo tentando di onorare questo sconsiderato impegno. Da Parigi a Ginevra, dall’Austria a New York, da Gerusalemme alla California scatteranno in ordine sparso: laserizzazione sanguigna, sequenziamento dei genomi, congelamento di cellule e rapsodemici incontri con luminari e scienziati convinti di possedere ognuno a suo modo il miracoloso elisir di lunga vita.
Il risultato è un disordinato e stupefatto reportage in assoluto stile gonzo sull’universo transumanista e sugli assurdi personaggi che lo popolano. Particolarmente godibile per esempio il ritratto del dottor Saldman, medico di grandi star quali Alain Delon, Sophie Marceau, Bernard-Henri Lévy e Roman Polanski. O la descrizione del costosissimo sanatorio austriaco dove si ricoverano di sovente tra gli altri Zinedine Zidane, Vladimir Putin, Sarah Ferguson e Uma Thurman, per farsi pulire sangue, fegato e intestino.
Nonostante un linguaggio dissacrante e smaliziato, a tratti il lavoro di Beigbeder appare un po’ fiacco. Restano lontane le vette raggiunte sul tema, per esempio, da Mark O’Connel in Essere una macchina (Adelphi) e piuttosto che un testo sul transumanesimo ci sembra di avere a che fare con il solito romanzo sulla crisi esistenziale di mezza età e sulle differenze di abitudini di chi superati i cinquanta si nutre di avocado bio piuttosto che di vodka. Non sarà per caso che l’ex dandy una volta disintossicato e autoreclusosi alla maniera di Salinger, in una magione affacciata sull’Atlantico a Biarritz abbia perso il tocco? Lo scopriremo forse un giorno quando andremo in esclusive cliniche svizzere, ingolfati di verdura e vitamine, a farci sostituire tutti gli organi con quelli di un maiale.
Frédéric Beigbeder
Bompiani, 304 pp., 19 euro