Thunderball
La recensione del libro di Ian Fleming, Adelphi, 352 pp., 22 euro
Chi ama 007 lo sa bene. Thunderball è il punto di non ritorno. Bando ai cattivi funambolici, entra in scena la Spectre, una micidiale organizzazione internazionale composta da diciotto membri, élite del male assoluto nel secondo Dopoguerra. Thunderball-Operazione Tuono è opera di Ian Fleming, scritta nel 1961 e approdata al grande schermo tre anni dopo, con Sean Connery, Claudine Auger e Adolfo Celi. Creando la Spectre, i cui nascondigli per decidere le sorti del mondo sono camuffati nei vulcani spenti o celati in piena luce nelle metropoli, lo scrittore britannico trovò l’emblema ante litteram del crimine globale organizzato e così, in Thunderball, un aereo che trasporta due testate nucleari viene dirottato e scompare dai radar. Il riscatto? Cento milioni di sterline in lingotti d’oro, da paracadutare sul paesino di Bronte, arrampicato sulle pendici dell’Etna. Proprio lì, in terra siciliana, si trova Fidelio Sciacca (“un siciliano emaciato, professore di scuola media di simpatie comuniste”), membro della Spectre nonché parente di sangue di un capomafia locale, grande esperto in riciclaggio di valuta.
Era il 1961 eppure una trama simile, fra ricatti, minacce globali e criminalità organizzata, non sfigura ancora oggi. Ma è solo l’inizio della vicenda in cui Fleming non risparmia la corruzione del pilota della Nato tra Maserati 3500 GT e le spiagge giamaicane, dove appare come una ninfa una bellezza italiana: Dominetta Petacchi, “una splendida cavalla araba”, al centro di un intreccio di eros e sangue, sino al colpo di scena finale. Oggi, la saga di 007 riproposta e valorizzata con grande merito dalla casa editrice Adelphi, è l’emblema di una cultura machista – con tanto di pizzicotti sul sedere alla segretaria Moneypenny, compiacente perché innamorata – che ci stiamo lasciando alle spalle e non solo come conseguenza delle campagne #MeToo.
Ogni avventura targata James Bond ha il potere di rispolverare il fascino dell’agente segreto per eccellenza, annullando il tempo e la distanza con il mondo tratteggiato dal suo creatore, immersi in quella realtà fra auto di lusso e cattivi tagliati con l’accetta, alcol&sigarette (un binomio tabù ormai sempre più raro al cinema e sui libri), il tutto condito da freddure british. 007 era macho, misantropo e razzista, del resto la minaccia del comunismo e l’essere al servizio di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra gli consentivano d’essere al di sopra di tutto. Se oggi quel mondo è ormai tramontato, è dunque possibile godersi senza rimorsi questa saga di narrativa d’azione impreziosita da trovate eccellenti mescolando fantascienza e realpolitik, da cui ogni autore di noir – e non solo – può trarre spunto per la gestione della suspense. Del resto, lo sappiamo benissimo che alla fine il timer con la bomba si fermerà a pochi secondi dalla catastrofe. Ciò che ci affascina è lo stile impeccabile di James Bond, quel suo Martini cocktail che ha fatto epoca. Ecco perché ogni lettore dovrebbe augurarsi soltanto una cosa: God save James Bond.
Ian Fleming
Adelphi, 352 pp., 22 euro
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