Il ragazzo
La recensione del libro di Marcus Malte, Fazi, 519 pp., 20 euro
Il ragazzo non ha un nome, e quindi non ha origine. Cammina, non è capace di fare nient’altro. E’ l’inizio del Novecento, si respira una brutta aria, sta per scoppiare la guerra. Sono circostanze che non lo sfiorano nemmeno, il mondo non è per tutti, non basta abitarlo per sentire di farne parte.
Per il ragazzo la civiltà è una tabula rasa; non esistono né il passato né il futuro, soltanto la realtà che vedono i suoi occhi e una strada da percorrere. “Il suo incedere ha a che fare con la disperazione e con l’ostinazione”: non si ferma, ma non sa dove sta andando. Comincia così Il ragazzo, il romanzo di Marcus Malte vincitore del Prix Femina, il riconoscimento letterario che viene assegnato ogni anno in Francia da una giuria esclusivamente femminile. Il ragazzo porta sulle spalle sua madre, l’unica persona che conosce, “a vederli così è impossibile non pensare a due naufraghi il giorno dopo la tempesta”. Lui non conosce il significato delle parole madre e figlio e nemmeno le leggi del sangue, quelle dell’istinto però sì, e quando si accorge che la donna ha smesso di respirare prova dolore, le loro due solitudini unite avevano messo in comune il quasi niente che possedevano. Forse l’amore non è nient’altro che questo. “Il ragazzo non ha modo di sapere obiettivamente quello che ha appena perso. Ma ciò non gli impedisce di sentirne l’assenza fino all’ultimo atomo del suo essere”. Sua mamma gli parlava spesso del mare, “quello che si prende senza immaginare un ritorno. Quello che spalanca il campo del possibile, che ci trasporta in terre vergini nelle quali si può cominciare, ricominciare, cancellare tutto ciò che è stato scritto così malamente e iniziare a scrivere quel che sarebbe dovuto essere”.
Il ragazzo sopravvive e continua ad andare avanti alla scoperta del mondo e degli uomini; cresce, incontra persone che gli somigliano. Sembra un selvaggio, uno zingaro, un essere primitivo, un animale allo stato brado. E’ tutto vero. Non ha nemmeno le parole a sorreggerlo, una lingua attraverso cui affrancarsi dalla propria bestialità. Però ha occhi per guardare e imitare i suoi simili, per provare a conquistare un posto tra di loro. Nel suo cammino incontra Brabek un pugile filosofo con cui percorre un pezzo di strada e che gli insegna tutto ciò che ha imparato: “Guarda, figliolo, perché un giorno non vedrai più. Senti, tocca, assaggia, stringi, respira. Che almeno tu possa affermare, quando sarà il momento, che questa vita che ti sottraggono, tu l’hai vissuta”. La lotta è sempre effimera, così come la gioia. La morte è il centro di tutto, il ragazzo non sa quasi niente ma questo è riuscito a comprenderlo. Prima della morte, però, c’è la vita e lui scopre di farne parte. Si innamora di una donna, Emma, che smette di negare la sua presenza regalandogli un nome, un simbolo a cui aggrapparsi. Felix prende parte alla Grande guerra, uccide per non farsi uccidere. Sopravvive, impara a comportarsi come un uomo. “Bisogna prendere in considerazione la vita. La pace. E tutte quelle cose che si fatica a credere che non saranno eterne. Bisogna prendere in considerazione la felicità”.
Marcus Malte
Fazi, 519 pp., 20 euro