Tristezza dello storico. Possibilità e limiti della storiografia
La recensione del libro di Henri-Irénée Marrou (Morcelliana, 76 pp., 10 euro)
Quando, nel 1939, con lo pseudonimo di Henri Davenson, pubblica sulla celebre rivista “Esprit”, fondata da Emmanuel Mounier, il saggio intitolato Tristezza dello storico, Henri-Irénée Marrou ha trentacinque anni e ha già dato alle stampe Sant’Agostino e la fine dell’antichità, opera destinata a diventare un classico e a inaugurare una serie di scritti che faranno del loro autore uno dei maggiori esperti novecenteschi dell’agostinismo. Il lavoro sulla “triste” condizione dello storico, la cui redazione trovò origine e spunto nella lettura di un saggio di Raymond Aron, testimonia la presenza di un altro grande interesse che caratterizzò le ricerche di Marrou, quello relativo alla storiografia, che si concretizzò, fra l’altro, nella composizione, avvenuta nel 1954, de La conoscenza storica, opera letta e apprezzata sino a oggi da numerosissimi studiosi. L’insegnamento di Storia del cristianesimo, tenuto alla Sorbona fino al 1975 – due anni prima della morte – rappresentò in un certo senso la sintesi dei due primari interessi che contraddistinsero la vita e l’opera di Marrou: la fede e la cultura cristiane, praticate e approfondite fin dagli anni giovanili, e l’indagine storiografica, alla quale, come si è detto, dedicò buona parte delle sue energie intellettuali. Ma perché lo storico è triste? Lo è in quanto si rende conto che il suo lavoro deve fare i conti con molti limiti e difficoltà. La convinzione, tipica del pensiero positivista, che si potesse realizzare una storiografia oggettiva si è rivelata fallace: la storia – afferma Marrou – non è una scienza, e aggiunge: “La conoscenza storica è, come la conoscenza di un’altra persona, come quella di sé, un caso particolare della conoscenza umana e partecipa della sua incertezza, della sua libertà essenziale… La realtà storica, essendo umana, è equivoca e inesauribile”. Secondo Marrou, ogni storico è condizionato dalla teoria storiografica che fa propria: persino gli stessi documenti storici assumono significati diversi a seconda della cornice teorica in cui vengono collocati. Dunque, lo storiografo gode di una libertà che gli permette di emettere i più diversi giudizi e “i fatti si prestano compiacentemente a ogni dimostrazione e si adattano a ogni sistema”. La soggettività è un elemento che non può essere escluso dal lavoro dello storico, il quale non potrà mai essere uno spettatore freddo e oggettivo, come pretendevano i positivisti in nome del loro ingannevole scientismo. Questa è, agli occhi di Marrou, la situazione dello studioso di storia, che è chiamato a riconoscere i propri limiti. Di qui la sua “tristezza” che, in realtà, assomiglia molto all’umiltà che spesso manca a chi non ha consapevolezza delle proprie reali possibilità. Tuttavia, la “tristezza” non si tramuterà mai in depressione: sapendo di essere in grado di raggiungere soltanto verità parziali, lo storico prende atto di ciò e prosegue fiducioso nel suo lavoro, arricchito pure da una maggiore coscienza della sua e dell’altrui libertà.
Tristezza dello storico. Possibilità e limiti della storiografia
Henri-Irénée Marrou
Morcelliana, 76 pp., 10 euro