Cercatori di libertà
Lorenzo Infantino, Rubbettino, 254 pp., 18 euro
C’è una lunga tradizione di pensiero che dall’Illuminismo scozzese giunge alla Scuola austriaca di economia, con numerosi compagni di viaggio legati tra loro non sempre da storia o biografia, ma certamente da affinità intellettuale. Su tale tradizione, pochi autori vantano una conoscenza altrettanto estesa e circostanziata di Lorenzo Infantino, a cui dobbiamo tra le altre cose la possibilità di leggere in traduzione italiana (grazie agli sforzi dell’editore Rubbettino) i classici della tradizione austriaca. Di tale conoscenza riceviamo oggi una serie di preziosi assaggi, grazie a questa raccolta di contributi già apparsi, ma non sempre facilmente reperibili, ciascuno dedicato a un diverso “cercatore di libertà”. E quel che accomuna tali pensatori non è solo la centralità della libertà, e il mercato come sistema che meglio la esprime, ma specialmente i suoi presupposti. Non il desiderio di ricchezza, come vorrebbero alcuni, ma la necessità ineliminabile di agire in condizioni di scarsità.
Viviamo in un mondo di scarsità di conoscenze, oltre che di risorse. E la speranza di sintetizzare la conoscenza disponibile, generando quello che Infantino chiama “punto di vista privilegiato sul mondo”, è condannata al fallimento. Sarebbe stato Hayek a difendere compiutamente l’idea che l’uso migliore che possiamo fare delle conoscenze disperse in società è decentrato, locale. Un concetto che altri avevano colto prima di lui, a cominciare da Adam Smith, secondo cui “ognuno, nella sua condizione locale, può giudicare molto meglio di qualsiasi uomo di Stato o legislatore quale sia la specie di industria interna che il suo capitale può impiegare”. Accentriamo, viceversa, la conoscenza nelle mani di pochi, ed essa perderà gran parte della sua fecondità: avremo aumentato l’arbitrio del legislatore al prezzo di una minore libertà e un’inferiore capacità di risolvere i problemi.
Se l’ignoranza è condizione generale, lo è anche dei governanti. Nessuno ha le soluzioni in tasca. Ma è proprio questo ciò che Menger, Mises, Hayek, gli scozzesi e altri autori della tradizioni liberale ci hanno trasmesso: la società non è data, ma si scopre (“le costituzioni non sono fatte, ma crescono” scrisse James Mackintosh). Le sue regole sono il risultato di un graduale processo di “esplorazione dell’ignoto”. Come la proprietà o l’idea stessa di diritti individuali: norme che la società ha scoperto e mantenuto perché funzionali alla cooperazione volontaria, alla riduzione dell’incertezza nell’interazione tra estranei, e quindi alla prosperità generale.
Oggi assistiamo alla frequente invocazione da parte dei cittadini di maggiori poteri di cui investire il pubblico, una richiesta che la politica non esita a intercettare (“lo stato torni a fare lo stato”, il ministro dell’Interno concesse ai pastori sardi che chiedevano un intervento sul prezzo del latte). Le idee promosse da un “cercatore di libertà” come Infantino ci insegnano che si tratta della via da scongiurare.
Lorenzo Infantino,
Rubbettino, 254 pp., 18 euro
Una fogliata di libri