La Terra e il suo satellite
Matteo Terzaghi, Quodlibet, 105 pp., 14 euro
Per molto tempo, durante la lettura del suo La terra e il suo satellite, non sono riuscito a comprendere l’età anagrafica di Matteo Terzaghi o, meglio, di colui che ha composto questo zibaldone di cose scritte. Come se l’essere cartaceo che circola tra le pagine fosse preda di una specie di instabilità. Ci muoviamo per digressioni, l’età resta opaca, ma riusciamo a cogliere nel libro la questione che lo innerva: che cos’è la memoria? Forse un’energia, di certo non un archivio polveroso. Però qualche tipografo distratto deve aver pasticciato con la cronologia delle pagine, qualcuna forse si è persa e ora saltiamo qua e là, sballottati da sincopi temporali. Ad esempio, mi ero fatto l’idea che lo scrittore fosse un ragazzo, e invece è padre di famiglia. Lo scopriamo avanzando nella lettura, tra piccole miniature, note, riflessioni, analisi che non sarebbero dispiaciute al Robert Walser de I temi di Fritz Kocher (citato dallo stesso Terzaghi). Dal nulla appaiono storie di denti, in particolare il primo che la figlia Lucia ha perso. E dire che, poche pagine prima, un capitolo ricordava la classica domenica in famiglia, genitori e fratelli in viaggio alla ricerca di un terreno edilizio da acquistare per la nuova casa. Di questa escursione resta l’immagine del nucleo famigliare installato nello spazio come un’opera concettuale, molto Land Art.
A pensarci bene, dovremmo ringraziare quel tipografo distratto. Posti in quest’ordine, i capitoli formano una magnifica costellazione, tra libri, favole, film, fotografie, piante a rotelle, enciclopedie, malattie, lombrichi, professori delle superiori, pianoforti meccanici, Anna Frank, baffi lunari, metronomi, Francis Ponge e la pioggia. Terzaghi lo sa bene, quel tipografo è proprio lui. I capitoli disegnano un movimento gravitazionale. Ne esce un’esperienza affascinante. Come l’eclissi che osserviamo in una pagina del libro. Passiamo dall’astronomia all’atelier di un amico artista; da lì si innesca una riflessione sull’instabilità dei personaggi di Robert Walser, che conduce a un’analogia con la celebre anatra-coniglio commentata da Wittgenstein; a questo punto, l’eclissi è già passata, anche se i giornali del mattino ancora la annunciano. Un salto temporale di qualche giorno spinge lo scrittore a chiedersi se il ricordo modifichi le cose che abbiamo visto, tornando a Walser, fino a formulare questa conclusione: “Uno scherzo della percezione si era trasformato in uno scherzo della memoria. Ma se questo era uno scherzo, allora che cosa sono – dove sono – le esperienze che abbiamo vissuto? E se la nostra memoria è così labile, in cosa consiste, alla fine, la nostra stessa vita?”. Il fatto è che il passato fa di noi delle “finzioni”: degli esseri instabili. La memoria non è altro che la possibilità combinatoria di un mondo nel quale il tempo si è sfarinato, di cui noi restiamo l’io sperimentale. Questo bel libro ne è la conferma.
LA TERRA E IL SUO SATELLITE
Matteo Terzaghi
Quodlibet, 105 pp., 14 euro