Il diavolo in Terrasanta
La recensione del libro di Enrico Brizzi, Mondadori, 510 pp., 20 euro
Sono partiti in due, amici da una vita: Cesare Maggi, investito del ruolo di Logista per il cammino, ed Enrico Brizzi, che scrive questo resoconto di viaggio dopo averne vissuti e raccontati altri. Arrivati infatti a Roma, qualche anno prima, al termine della via Francigena, i due si erano accorti che quella meta ne chiamava un’altra, i passi e il cuore cercavano un po’ più in là: Gerusalemme. Così, mettono insieme ferie e permessi e partono per il nuovo pellegrinaggio. Rigorosamente a piedi, oppure via acqua, con i mezzi degli antichi; e poco importa se gli imprevisti imporranno poi qualche compromesso.
E il loro viaggio è molte cose insieme. E’ sforzo fisico: i primi giorni la lotta è contro la resistenza del corpo disabituato al cammino; il terzo giorno è un calvario ma è anche la svolta. Ma soprattutto è lotta con la verità di se stessi. Lo scopre, fra gli altri, l’amico Max Montefiori, rampollo nullafacente dell’alta borghesia bolognese: partito con leggeri mocassini e un maglione a trecce color panna, risorgerà completamente trasformato dalla crosta di fango che lo ricoprirà dopo i primi tre giorni lungo il Regio Tratturo. Anche a lui la fatica impone una trasformazione: deciso a proseguire il viaggio fino alla meta, lasciata alle spalle la malsana dipendenza da una moglie che non lo ama, acquista un nuovo equipaggiamento e una diversa consapevolezza di sé: le sue origini in parte ebraiche, evidenti nel cognome che porta, evocate all’inizio spavaldamente e un po’ a caso per accreditarsi come meritevole della meta, a poco a poco diventano parte integrante della sua nuova identità.
Dunque fatica, cambiamento e incontri. Anche e soprattutto non previsti: il Grande Blek, l’amico che mette a disposizione la barca; Panta, il dispotico skipper che li guida nella difficile traversata; il losco Nicola Maria, che si rivelerà ladro, bugiardo, traditore. E’ lui il “diavolo” che si portano in Terrasanta: è lui che semina zizzania e che riesce persino a far calare un’ombra di incomprensione tra i due amici; è lui che mina lo spirito del pellegrinaggio e provoca situazioni sordide e sgradevoli.
Il cammino è raccontato da una scrittura vivace, innestata di dialetti, incalzante nella narrazione delle avventure – la navigazione nel mare in tempesta…! – e felice nei dialoghi; una scrittura che coinvolge anche laddove i luoghi toccati dai pellegrini diventano occasione per divagazioni e riflessioni di varia natura. In particolare, sono molte le pagine dedicate alla storia ebraica e alle vicende antiche e recenti di Israele, delineate col dolore di chi si sente coinvolto dal dramma del “luogo che gli antichi consideravano il centro del mondo”. E arrivare finalmente alle “bianche mura di Gerusalemme” genera una gratitudine profonda, il desiderio di perdonare, e la consapevolezza che “il diavolo non è una persona, ma lo stato d’animo di chi si sente nella ragione, giustificato a compiere ogni male e aumentare il carico di dolore del mondo”.
Enrico Brizzi,
Mondadori, 510 pp., 20 euro
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