La follia di Dunbar
La recensione del libro di Edward St Aubyn, Neri Pozza, 238 pp., 17 euro
Torna con una difficile sfida Edward St Aubyn, autore tra gli altri del capolavoro (in parte autobiografico) i Melrose, e lo fa rivisitando la più devastante storia familiare raccontata da Shakespeare, il Re Lear. La follia di Dunbar, edito in Italia da Neri Pozza, racconta la storia e la caduta di Henry Dunbar, una volta magnate plenipotenziario dei media, (un tipo alla Rupert Murdoch, per intenderci), che ora si trova rinchiuso suo malgrado in un sanatorio di lusso da qualche parte nelle campagne inglesi. “Mi hanno rubato il mio impero e adesso mi mandano dei gigli puzzolenti”, dice il nostro Lear al suo strampalato compagno di stanza Peter Walker, un bizzarro comico alcolizzato, all’inizio del racconto. “Ti ho mai raccontato come me lo hanno rubato?”
A tramare contro di lui sono le sue figlie, Megan e Abigail, due sadiche ninfomani psicopatiche che vogliono prendere il controllo, di nascosto dall’altra sorella Florence, del trust di famiglia. Succede che a un certo punto Dunbar in compagnia del suo folle sodale Walker riesce a evadere dalla clinica nella quale si trova recluso con l’obiettivo di raggiungere Londra e provare a salvare il suo impero dalle grinfie delle sue spregevoli figlie. Seguiranno inseguimenti rocamboleschi in cui verrà coinvolta anche la terzogenita Florence, una mezza hippie già diseredata ed estromessa dagli affari di famiglia, che si metterà alle calcagna del padre cercando di salvarlo e provando a far saltare il grottesco colpo di stato ordito da Megan e Abigail in combutta con l’ex medico personale (tossico) del vecchio Dunbar, il dottor Bob. Inizia così il viaggio di Henry Dunbar, che ha con sé solamente un coltellino svizzero, un cappotto con il collo di pelliccia e una carta di credito senza limiti collegata a un conto segreto in una qualche banca di Ginevra o di Zurigo, all’interno del quale il vecchio magnate dovrà fare i conti con l’onnipotenza della natura e contemporaneamente con i propri demoni. Chi lo troverà per primo? Le due figlie aguzzine o la sorella fricchettona? Dunbar infine riuscirà a redimersi? Con la solita prosa elegante e acuta, St Aubyn riesce ancora una volta a rappresentare in maniera esemplare il mondo vuoto, vacuo e privo di valori dell’aristocrazia, ambiente dal quale proviene e che spesso è stato al centro dei suoi lavori. Non mancheranno jet privati, elicotteri lanciati in picchiata alle prese con improbabili salvataggi e la solita e abbondante quantità di droghe e psicofarmaci, oltre a crude analisi sul potere e sulle dinamiche perverse dell’ennesima famiglia disfunzionale.
Tuttavia il lavoro di St Aubyn fa fatica a decollare. l risultato è una sorta di brutta copia in chiave moderna della tragedia shakespeariana che non appaga il lettore che pure si è lasciato conquistare dalla trama. Per citare l’autore, è un’opera che appare un po’ come “un tramonto sfarzoso, come un addio ubriaco scarabocchiato con il rossetto su uno specchio”.
Edward St Aubyn
Neri Pozza, 238 pp., 17 euro
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