Talib o la curiosità

Bruno Tosatti

La recensione del libro di Bruno Tosatti, Tunuè, 211 pp., 17 euro

La verifica dell’essere è nel fare”, dichiarava il Calvino de I Nostri Antenati, ed è un’intuizione che ben si accorda a questo romanzo d’esordio, finalista al premio che proprio a Calvino s’intitola. Un giovane lucidatore di pomelli alla corte di Baghdad intraprende per amore una cerca avventurosa che arriverà a coinvolgersi col destino di molti e abbracciare così misteriose torri ai poli artici, bizzarre città sulle nuvole e inconsuete mansioni sulla Luna. Un viaggio che percorre e fonde mondi e culture diverse nello spazio e nel tempo, nei quale riecheggiano Il Barone di Munchausen, il Sinbad delle Mille e una Notte ma anche la mistica velata di fiaba de Il Libro degli Uccelli tanto amato da Borges, e che dichiaratamente si propone quale mera selezione d’un testo più vasto, rimandando continuamente ad altri compendi e trattati, a note e ulteriori delucidazioni. Perché ogni libro è – al pari d’ogni singola esistenza – intrecciato e indebitato con la biblioteca universale, con la vita complessiva del mondo, e ciò che agita il cuore della nostra ricerca erotica o intellettuale può risultare solo una fuggevole comparsa nell’inchiesta altrui, per quanto capace di modificarla in modo spesso determinante. In una vera e propria matrioska di compiti, ricerche e promesse, incontriamo Golem, musicisti in cerca delle note perfette, orafi e draghi, tutti fedeli alle loro funzioni archetipiche eppure capaci di costanti fughe in diagonale che conferiscono loro ironia e peso. Anche in questo caso ripeto quanto ho avuto modo di lodare della narrativa Tunuè, ossia che l’attenzione alla qualità stilistica è dimostrata anche dalla forza teatrale del testo stesso: se ne potrebbe trarre un adattamento drammaturgico di divertente e vorticosa forza affabulatoria, nella specificità d’una prosa da cui è difficile isolare un brano più significativo d’altri, altro elemento positivo perché la sua credibilità vive di accumuli trascinanti, di cammini che si incrociano o ne accennano sempre altri, dove il periferico può assumere ogni momento il rilievo centrale, mentre protagonisti e lettore si domandano quale racconto, quale visione esprima meglio l’autentica natura del mondo: “Quell’astronomo amatoriale con cui era salito sui tepui gli aveva detto che le stelle erano appese, e che quindi alcune di loro erano cadute sulla Terra. Ora invece sa che sono piccoli scogli in mezzo al mare, e sospetta pure che a furia di picconarli per prendere l’oro di cui sono fatti, prima o poi spariranno tutte”. Un’avventura a spirale nella quale si scopre che niente è come sembra, neppure i nostri stessi desideri. Soprattutto essi, forse: “O voi non avevate uno scopo, o lo scopo era al di là della fine che immaginavate, e raggiungendolo si cambia”, ammoniva T. S. Eliot. Gli faceva eco Cristina Campo, commentando proprio alcune antiche storie orientali su tappeti volanti e città di rame: “Accade in ogni fiaba che, partiti per avere una cosa, se ne riceva misteriosamente un’altra”. 

    

TALIB O LA CURIOSITÀ

Bruno Tosatti

Tunuè, 211 pp., 17 euro

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