A lume di naso
a cura di Vincenzo Bochicchio, Marco Mazzeo, Giuseppe Squillace
Quodlibet, 186 pp., 20 euro
L’olfatto è il nostro senso più bistrattato, al punto che per definire aromi e fragranze siamo costretti a prendere in prestito aggettivi afferenti agli altri sensi, creando sinestesie che nel campo olfattivo sono la norma: pungente, fresco, avvolgente. Per anni nella cultura mainstream il naso è sembrato una dotazione esclusiva dei sommelier televisivi, salvo quando un odore risvegliava all’improvviso un ricordo, e allora d’obbligo citare la cara vecchia madeleine (che i più confondono con un plumcake), non necessariamente per pigrizia culturale, ma perché non si trovavano altri riferimenti. Ora gli addetti ai lavori e gli appassionati giurano che le cose stanno cambiando, le persone cercano sempre più attentamente le fragranze da indossare, il settore ha retto bene la crisi e oggi sta vivendo una rinascita. Fatto sta che a fronte dell’articolato lessico che abbiamo a disposizione per descrivere una pasta al ragù, pochi ai quali venisse messo uno Chanel sotto il naso saprebbero spingersi oltre il “buono”.
Una delle cause di questa messa ai margini dell’olfatto, spiegano i curatori di A lume di naso, è la linea teorica che nel Novecento ha individuato in esso un senso minore e primitivo. Per Freud la diminuzione degli stimoli olfattivi ha aperto le porte alla civiltà, e la tradizione occidentale l’ha appiattito a un fattore esclusivamente biologico. Nell’olfatto invece si incastrano strutture biologiche e storiche, come dimostra questa affascinante raccolta di saggi utili a capire l’approccio teorico su cui dovrebbe basarsi lo studio estetico dell’olfatto, nel doppio senso di studio del senso in questione e del bello (o, meglio, del “profumato”).
Tra storia e antropologia, letteratura, archeologia e neuropsicologia, si scopre che i profumi non sono dati una volta per tutte. Così come per un’immagine, non è bello ciò che piace, ma ciò che in un dato contesto storico, valoriale e sociale viene apprezzato, lo stesso accade per gli odori. Quello che gli antichi romani consideravano profumo divino per noi sarebbe semplice odore di grigliata. E fin dalle testimonianze del I secolo a.C. è evidente come le fragranze più apprezzate dipendessero da dinamiche commerciali e politiche.
Alcuni sensi, come ascolto e vista, sono stati a lungo percepiti come più nobili per la possibilità di fruirli in modo ordinato, proiettarli in una dimensione matematica, e apprezzarne uno sviluppo dialettico, mentre altri sono stati relegati alla dimensione della percezione istintiva e istantanea. Dal punto di vista evolutivo, spiega Vincenzo Bochicchio, l’olfatto doveva indurre un comportamento immediato, spesso vitale. Quindi non poteva essere uno stimolo ambiguo o interpretabile com’è quello visivo, su cui agiamo in maniera attiva, scegliendo la figura su cui concentrarci e isolandola dal resto, che lasciamo sullo sfondo. Dall’altro lato però, proprio per questa ragione, “mediante l’olfatto siamo eterodiretti e siamo immediatamente fuori di noi: una condizione antitetica rispetto al presunto narcisismo ed esistenzialismo” in cui fino ad ora era stato relegato questo senso.
A lume di naso
a cura di Vincenzo Bochicchio, Marco Mazzeo, Giuseppe Squillace
Quodlibet, 186 pp., 20 euro
Una fogliata di libri