Il volontario
La recensione del libro di Salvatore Scibona, 66thand2nd, 448 pp., 20 euro
“Lui era stato un assassino. Era stato sedotto dal potere dell’America, dagli strumenti con cui l’America moltiplicava il suo potere omicida. In realtà lui era stato solo uno strumento, il moltiplicatore che l’America aveva impiegato per soddisfare la sua furia omicida. Una furia omicida ben più pericolosa, perché non era controbilanciata dal potere dell’amore”. Vollie Frade è nato da genitori vecchi e stanchi e incapaci di avere dei desideri. L’amore che il ragazzo prova nei loro confronti è immenso, il senso di colpa anche. Il sangue è una catena dalla quale non ci si libera mai. Vollie ci prova diventando un soldato al servizio degli Stati Uniti. Quando il Vietnam chiama, lui risponde entusiasta. Spera che la guerra possa fargli dimenticare chi è e da dove viene, per questo si arruola nei marine. Diventa “il volontario”, il protagonista dell’ultimo libro dello scrittore Salvatore Scibona, finalista del National Book Award con La Fine. In quegli anni di napalm, granate e compagni morti ammazzati proprio davanti ai suoi occhi, a volte il ragazzo si domandava quale fosse l’obiettivo di tutti quei bombardamenti. “Il nemico, coglione”, gli rispondevano in coro. Ma non era vero.
Vollie se si guardava intorno vedeva soltanto il mondo che bruciava. “E la notte rimaneva sveglio, chiedendo all’oscurità cosa fosse quella forza invisibile, ineluttabile come la gravità o il vento, che lo istigava a voler compiere azioni che avrebbero sconcertato e disgustato sua madre e suo padre, quella forza che sembrava uguale all’amore, e sprigionata da quello stesso amore che provava per loro, ma di direzione opposta. Il volontario sopravvive a tutto, anche a quattrocento giorni di prigionia in un tunnel della Cambogia in mezzo ai cadaveri. L’America fa a pezzi i propri uomini e poi, con tante scuse e tanti onori, li ricostruisce come se niente fosse successo. Nel caso di Vollie, l’obiettivo è quello di farlo sparire. Lui non desidera altro, spera che un nuovo nome gli faccia dimenticare da dove viene, sua madre e suo padre, l’amore e il dolore che prova per loro. “A lungo, dopo che Vollie Frade era scomparso quasi del tutto dalla sua mente, sua madre e suo padre avrebbero continuato ad abitare nel suo mondo interiore con una dolcezza terrificante.
Il suo cuore era fatto della loro stessa sostanza e non avrebbe mai potuto amarli di meno. Per quanto provasse a dispensarsi da quell’obbligo, il suo cuore non gli permetteva di dimenticare il debito che aveva con loro”. Vollie incontra uomini e donne sconfitti, vagabondi, inermi davanti a un passato che decide anche per il futuro. Sono tutti in fuga, la bestia regna e governa e non bisogna capire gli altri ma solo perdonarli. E a volte esserne orgogliosi. “Per la storia che una persona poteva issarsi sulla schiena senza mai poggiarla a terra. Non solo la storia delle disgrazie, ma anche di tutte le cose belle che erano successe, il sogno di volare, la caduta; nel suo caso l’esplosione di sole all’uscita del tunnel, il sapore dell’acqua; e poi certo anche le disgrazie, tutte quante, i dispiaceri dell’infanzia, un proiettile nella schiena, il tempo incommensurabile e tutti gli atti imposti dalla cupidigia e dalla sete. Tutta quella vita, troppa, davvero troppa accumulata intorno a una persona”.
Salvatore Scibona
66thand2nd, 448 pp., 20 euro
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