Ricordi del futuro
La recensione del libro di Siri Hustvedt, Einaudi, 360 pp., 21 euro
Uno, nessuno, centomila. Sono tante le facce di S. H., la protagonista dell’ultimo libro – che è insieme romanzo, autofiction, saggio e memoir – di Siri Hustvedt. C’è il volto di S. H. ora sessantenne che ricorda la sua gioventù a New York, quando aveva ventitré anni e dal Minnesota era approdata piena di speranze nella grande città con il sogno di mettere nero su bianco un romanzo. La donna scrive al presente mentre si sta occupando del trasloco della madre anziana che deve stabilirsi in una casa di cura. Ed è questa l’occasione che la porta a riflettere sul proprio passato, su quei fili tirati di cui oggi può intravedere il bandolo. C’è poi un altro volto di S. H., quello che emerge dal romanzo che la donna da giovane aveva cominciato a scrivere, su una sorta di eroe alla Don Chisciotte e sulla sua compagna. E poi c’è il terzo volto, che la protagonista ritrova in un diario dell’epoca rimasto in fondo a uno scatolone e ricomparso per via del trasloco. Sono tre volti che fermano epoche diverse, che scandiscono l’incedere degli anni e la percezione che si ha di essi. Diventano occasione di riflessione sul valore del tempo, del suo passare e di come la percezione del suo senso cambi con l’avanzare dell’età. “Io sto scrivendo ora, sto scrivendo contro il tempo, per il tempo, con il tempo, nel tempo. Sto scrivendo fuori dal mio tempo e dentro il tuo. C’è magia in questo semplice atto, no?”.
Lo sguardo di S. H., così aderente a quello dell’autrice che sembra celarsi in prima persona dietro a esso, si mostra in tutto il suo arco di cambiamento e in qualche modo lascia sotteso il tentativo di capire se ci si può riconoscere in quello che si è stati. E’ il periodo della giovinezza quello più ricco di accadimenti, quando si doveva fare i conti con una New York in gran fermento, piena di stimoli ma anche di occasioni di dispersione e quindi possibilità di perdersi. Con “il voler essere parte dello schema, il voler essere tutti”, con la solitudine che annienta e con la vicina di casa Lucy e la sua malinconia che nascondeva un segreto doloroso. S. H. si mette in ascolto di quella voce – ascolta Lucy con uno stetoscopio attraverso la parete per carpirne i segreti, in una stanza dove la donna di notte continua a ripetere “sontrist” (sono triste) come una litania dilaniante – che la accompagnerà nel passare dei mesi e arriverà in un certo senso a salvarle la vita.
Ma c’è anche un’altra polarità del racconto, che emerge dalla penna elegante e sottile della moglie di Paul Auster. E’ quella della forza del ricordo che non è solo un tornare alla mente ma al cuore (re-cordis), un conoscere di nuovo per la prima volta. La scrittura diventa per S. H. il modo più naturale per ricordare, per rendere di nuovo presente quello che è stata. Forse per capire in che modo la S. H. di un tempo sia parente di quella di oggi. O quanto ci si è allontanati da sé e si è diventati altro senza potersi riconoscere più nella propria storia. Quanto “una storia è diventata un’altra storia”.
Siri Hustvedt
Einaudi, 360 pp., 21 euro