Turbolenza
La recensione del libro di David Szalay, Adelphi, 349 pp., 15 euro
Ogni giorno sopra le nostre teste c’è un’umanità che vive sospesa, tra le nuvole. Sono i passeggeri degli aerei che compiono le rotte più diverse, uomini e donne le cui esistenze si lambiscono per una manciata di ore. Ci sono madri che tornano a casa dopo avere incontrato i figli malati, businessman che ritornano dopo viaggi di lavoro non sapendo che non rivedranno più i figli, piloti di linea che sostituiscono amori duraturi con passioni di una notte, donne mature divise tra il desiderio di cambiare vita e l’ultima resistenza di rimanere ancorate alla propria condizione. Di tutti costoro – e di molti altri – ci racconta David Szalay nella sua ultima raccolta di racconti (o per meglio dire romanzo sottoforma di racconti) che prosegue idealmente il percorso tracciato dal suo precedente lavoro Tutto quello che è un uomo. Nate come un gruppo di storie scritte per Bbc Radio, questi racconti di poche pagine sono inanellati l’uno all’altro, dodici personaggi che si passano il testimone sfiorandosi nei voli aerei che li raccordano tra loro. Ogni racconto, identificato dalle due sigle degli aeroporti di partenza e di arrivo, racchiude una storia spesso incastonata in una realtà lontana. Dall’Europa ai paesi asiatici passando per le Americhe, i personaggi di Szalay attraversano tutti una turbolenza – alcuni fisica, altri metaforica e interiore – dovendo fare i conti con una circostanza sfidante, spesso andando incontro a un destino che non possono immaginare. E così l’amante di un pilota che infuoca una notte a San Paolo è anche la giornalista che va a Toronto per intervistare una scrittrice di successo la quale deve però scappare in tutta fretta negli Stati Uniti perché la figlia è in travaglio. Nella precarietà dell’esistenza, di questi personaggi vengono sempre mostrate – tramite il meccanismo strutturale che regola il racconto – almeno due facce. Perché le persone non sono mai una cosa sola, non si esauriscono in un’unica prospettiva. E spesso la nostra percezione dell’altro ci tradisce, facendoci frettolosamente trarre una conclusione. “Stranamente, per un po’, in apparenza la loro vita era andata avanti come se niente fosse, solo come una specie di silenzio al cuore delle cose”. Il silenzio è quello tra Jackie – insegnante di Letteratura inglese a Hong Kong – e il marito. La donna si chiede se debba lasciarlo, essendosi innamorata del suo medico. “Il fatto che si fosse innamorata del medico annullava di per sé il suo matrimonio? Lo rendeva inautentico?”. Si scoprirà nel racconto successivo, seguendo il volo del dottore verso il Vietnam, che Jackie ha deciso di rimanere con il marito. La turbolenza nella sua vita non ha portato a un cambiamento. Szalay conferma la sua capacità unica di raccontare l’umanità, tracciando ogni volta in poche pagine personaggi profondi e veri da cui non vorremmo staccarci. E’ un libro pieno di storie accennate, di vite interessanti che vale la pena siano raccontate. Di racconti che sono una promessa, di piccole luci nel cielo.
David Szalay,
Adelphi, 349 pp., 15 euro
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