Pellegrinaggio al Tinker Creek
La recensione del libro di Annie Dillard (Bompiani, 351 pp., 18 euro)
Ha raccontato che la differenza tra assistere a un’eclissi parziale e una totale è la stessa che corre tra baciare un uomo e sposarlo, o volare su un aereo e precipitare da un aereo. Lo stesso può dirsi della differenza tra recensire e leggere la stessa Annie Dillard, narratrice e saggista, la cui opera è tutta tesa a intercettare “quella forma laica della preghiera che si chiama attenzione”, come la definì W. Benjamin: Lo testimonia questa raccolta di prose poetiche, osservazioni naturali, ricordi che le valsero il Pulitzer per la saggistica del ’75 e per la quale non si sprecano i superlativi. “Mi chiedo se non sprechiamo quasi tutte le nostre energie trascorrendo ogni minuto di veglia a salutare noi stessi”, afferma lei stessa, echeggiando i rabbini chassidici, ma anche Thoreau e Hopkins.
Gite annuali in isolette sul fiume, la flora e la fauna d’America si intrecciano col profetismo biblico e la poesia, le sfumature delle luci stagionali, le intricate armonie e le violenze sconcertanti della vita nel cosmo si intrecciano con le notti di angoscia, i distacchi emotivi, la paura di perdere l’amore, la gentilezza, l’ironia e la ridicolaggine: “La crudeltà è un mistero, e spreco di dolore. Ma se descriviamo un mondo che abbracci queste cose, un mondo che sia un lungo gioco brutale, allora incappiamo in un altro mistero: l’irruzione della potenza e della luce, il canarino che canta sul cranio”. Si è di fronte a uno di quei rari e benvenuti casi nei quali si dovrebbe persino mettere in guardia il lettore, giacché esporsi a questo livello di concentrazione delicata e costante semplicemente verso tutto, seguire con gli occhi della mente ciò che Dillard indica dentro e fuori di noi (“quando perdiamo l’innocenza – quando cominciamo a sentire il peso dell’atmosfera e capiamo che ci si gioca la vita – perdiamo i nostri sensi”) non lascia indifferenti: “Insieme un mondo nuovo, e il vecchio reso esplicito”, scriveva Eliot, e forse è il marchio d’ogni autentica esperienza artistica, cioè contemplativa. Fare l’amore, bere un caffè, camminare da soli o in compagnia di qualcuno, l’alternanza delle temperature, guardare dentro un microscopio o addormentarsi su una collina erbosa mentre in alto trascorrono le nuvole e il sole è solo una macchia dietro le palpebre chiuse, non saranno più la stessa cosa, o lo saranno mille volte di più: “Guardo la montagna, ancora impegnata nei suoi giochi di prestigio, come guardi il viso bellissimo di una persona che hai amato in un altro paese anni fa: con nostalgia e tenerezza, e riconoscendolo, ma senza nessuna emozione reale se non un segreto stupore per la vostra presente estraneità. Grazie. Per i ricordi. è ironico che quel che secondo tutte le religioni ci separa dal nostro creatore – la nostra coscienza di sé – è quello che ci separa dalle creature nostre compagne. E’ stato un regalo amaro dell’evoluzione, tagliarci fuori da entrambi i capi. Salgo in macchina a vado a casa”. A leggere cose simili, c’è il rischio concreto di spezzarsi.
Annie Dillard
Pellegrinaggio al Tinker Creek
Bompiani, 351 pp., 18 euro