Il ciarlatano

Matteo Matzuzzi

La recensione del libro di Isaac Bashevis Singer, Adelphi, 268 pp., 20 euro

Hertz Minsker si guarda allo specchio in un hotel di Miami e vede un uomo non più giovane, con il ventre flaccido, i peli sul petto ormai bianchi, le gambe non simmetriche. Era questo il corpo che le donne amavano?, si domanda. E’ qui che probabilmente si rende conto davvero di essere un ciarlatano, un buono a nulla. Colto, finalmente ricco quando non lo sperava più, dalle piissime origini, adorato da uomini che ne apprezzavano l’intelligenza e da donne che restavano affascinate da quel promesso professore che s’era lasciato l’Europa in disfacimento alle spalle ed era salpato alla volta dell’America. Un ciarlatano senza un soldo, che vive grazie a quanto gli allunga l’amico Morris, ebreo devoto e benestante che dalla vita (e dai figli) ha avuto parecchie delusioni.

 

Lui, per ripagarlo dell’amicizia e della stima, va a letto con la moglie Minna, una donna isterica che si crede una poetessa incompresa – le sue “produzioni” sono un inno alla banalità – e che ama frequentare i circoli letterari yiddish di New York. Hertz è attratto da quella donna, ma è sposato con Bronia, una polacca che per lui ha lasciato marito e figli a Varsavia, preda della follia nazista. Il rimorso l’accompagnerà per sempre, tanto da renderla un’ameba allo sguardo di Hertz, che finirà per non provare nulla nei suoi riguardi.

 

Una, due, tre donne contemporaneamente danno il ritmo all’esistenza del ciarlatano, che s’interroga sul senso dell’esistenza – la sua – e sul misterioso disegno che l’Onnipotente ha realizzato per il mondo. E’ una presenza fissa, quella di Dio. Il Dio d’Israele che guarda i suoi figli morire nelle camere a gas ma che per rispetto del libero arbitrio umano non interviene nelle faccende terrene, dice Morris. La tensione tra Hertz e la sua personalissima concezione di Dio e quella dell’amico praticante, che cerca conforto nell’astuccio delle spezie dei suoi avi, è la linea rossa che corre da un capo all’altro dell’opera di Isaac Singer (un plauso ad Adelphi – curatela di Elisabetta Zevi e traduzione di Elena Loewenthal – per svelare, anno dopo anno, i suoi manoscritti “rimasti in lista d’attesa”).

 

Giorno dopo giorno, vittima delle sue bugie, Hertz s’avviterà in una spirale che lo porterà sempre più in basso: “E’ la fine”, dice più volte. Perduto, Minsker, come il cappello che vola via verso l’Hudson in una gelida notte newyorchese, mentre la vita reale gli rende il conto delle sue azioni, fra tradimenti e scomparse. “E adesso dove vado?”, si domanda alla fine, quasi fosse un disperato appello al Cielo, perché alla fine lui in Dio ci credeva, lo supplicava quasi senza accorgersi di farlo. Lo temeva ed è a lui che pensava dopo ogni tradimento, dopo ogni passo falso.

 

Da una parte il rimorso per i cari lasciati nell’inferno europeo, dall’altro il ribrezzo per le proprie azioni libertine: combattuto e sfinito, prometteva pentimento ed espiazione: “Pentirmi? Ma con chi? Esiste un Dio, questo sì, ma è completamente diverso da come lo descrivono. Disperato e umiliato, non coglie più il senso delle cose: “E’ questo il mondo? E’ questa la realtà?, si chiese. Aveva vissuto quasi sessant’anni, ma ogni volta che vedeva il cielo, la terra, le case, la gente, i negozi, le automobili, tornava a meravigliarsi. Qual era il senso di tutto questo?”.

  

Il ciarlatano

Isaac Bashevis Singer 

Adelphi, 268 pp., 20 euro

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.