Democrazia sorgiva. Note sul pensiero politico di Hannah Arendt
la recensione del libro di Adriana Cavarero, Raffaello Cortina, 148 pp., 12 euro
“Chi cerca nei testi di Arendt il cinismo distaccato dei realisti, vi troverà il pathos coinvolgente degli utopisti. Vi troverà un immaginario di speranza per le ‘faccende umane’ che non idolatra la distruttività della critica e osa parlare dell’esperienza politica in uno spazio pubblico condiviso come di un’esperienza di felicità”. Con queste parole Adriana Cavarero, una delle più note filosofe italiane di oggi, consegna al lettore il suo giudizio su Hannah Arendt, la celebre pensatrice tedesca vissuta tra il 1906 e il 1975. Si tratta, in particolare, di valutazioni riguardanti l’ampia e articolata riflessione che Arendt dedicò all’agire politico e che rappresenta il contributo più alto da lei elaborato nel contesto della sua attività di attenta e profonda indagatrice della vita umana, cresciuta alla scuola di figure del calibro di Guardini, Bultmann, Heidegger e, soprattutto, Jaspers. Grande conoscitrice delle antiche dottrine politiche – Aristotele rimase sempre per lei un punto di riferimento imprescindibile –, critica severa di ogni forma di totalitarismo, attaccata duramente da più parti per aver definito il nazismo un’espressione della banalità del male, Arendt viene considerata uno dei maggiori interpreti del concetto di democrazia. Non casualmente – afferma Cavarero –, “il riferimento ai testi arendtiani è frequente da parte di numerosi autori del nostro tempo che reinterrogano proprio l’idea di democrazia per rintracciarne il senso in alcuni eventi del presente. Ossia che cercano di sottrarre la parola democrazia alla sua disturbante genericità e tentano di afferrare il nucleo concettuale della vera democrazia”. Non sorprende il fatto che, negli ultimi tempi, da quando si sono intensificate le discussioni sul risorgere del populismo, abbia fatto registrare un forte aumento delle vendite l’opera forse più famosa di Arendt, Le origini del totalitarismo, risalente al 1951 e tradotta per la prima volta in italiano nel 1967. Per quanto affascinata dall’Atene periclea, considerata la culla della democrazia, Arendt, come avverte Cavarero, si dimostra molto parsimoniosa nell’usare il termine stesso democrazia, perché, a suo giudizio, esso è ambiguo. Coloro che oggi parlano di democrazia radicale, anarchica, selvaggia, guardano con particolare interesse alla prospettiva arendtiana “che si pone come antitetica rispetto a qualsiasi concezione verticale o gerarchica del potere e che si caratterizza invece come un potere diffuso, partecipativo e relazionale, condiviso alla pari, anzi costituito da una pluralità di attori. I quali sono uguali proprio perché condividono orizzontalmente questo spazio”.
Potremmo definire questa condizione come democrazia sorgiva, cioè nascente o, ancora, spontanea, che “evita di sostanziarsi innanzitutto nel suo essere contro, ovvero si propone essenzialmente come affermativa invece che negativa” e che appare collegata con quell’emozione del partecipare che Arendt definisce felicità pubblica.
Democrazia sorgiva. Note sul pensiero politico di Hannah Arendt
Adriana Cavarero,
Raffaello Cortina, 148 pp., 12 euro