Piovono mandorle
Recensione del libro di Roberta Corradin edito da Piemme (480 pp., 18,50 euro)
Giocare con l’idea del giallo classico, pur rispettandone la struttura, e giocare con l’immagine di Scicli, la cittadina ormai universalmente nota come il palcoscenico di Montalbano. In questo romanzo corale Scicli c’è, ma è come se si osservasse da sola in uno specchio rovesciato, dove le troupe e i luoghi famosi per la sovraesposizione televisiva si fanno miraggio: niente è quello che sembra, a cominciare dal commissariato del commissario più famoso d’Italia (il fatto che il commissariato di Montalbano sia in realtà la sede del comune non sembra importare ai curiosi né ai presenti per caso sulla scena del delitto). Perché il delitto c’è, anche se all’inizio non si vede: il futuro morto, infatti, psicoanalista nato a Taormina ma cresciuto professionalmente a New York, non vive la vita breve di tutte le vittime dei gialli. Salvo Diodato, così si chiama, è un bello ma non dannato esemplare di una strana sicilianità sospesa tra passato e passato: passato glorioso di Taormina quando le dive andavano a farsi pettinare dalle parrucchiere locali e passato glorioso di una New York dove ancora si poteva avviare senza sforzo uno studio di psicoterapia per politici e membri del jet set. Diodato, dunque, passeggia per le vie di una stralunata Scicli come la commissaria Maria Gelata, una che non soltanto non è quello che sembra, ma non è diventata quello che è per il motivo che potrebbe sembrare il più plausibile. Né sono quello che sembrano le pazienti cosmopolite di Diodato, tutte diversamente infelici, ma non per questo rassegnate. Anzi. C’è chi, come Elena, manager coach e pendolare tra Hong Kong e una Sicilia da cartolina con tramonto e Campari Orange, cerca di darsi risposte mentre prova a non farsi troppo simile a Mariangela Melato nella storia d’amore socialmente squilibrata del film “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”. E c’è chi, come l’americana Amanda, non sopporta che non le si facciano le domande giuste. Lo specchio rovesciato inquadra anche i comprimari che rischiano di diventare fondamentali, a partire dal meccanico Ignazio fino allo chef Guglielmo, assieme alle cose soltanto apparentemente presenti come appendici, a partire dalle “scupazze”, le palme nane che fungono all’occorrenza da qualsiasi cosa: protezione contro il vento, scopa o straccio improvvisato per spolverare. Il delitto, quando arriva, scompagina quello che è già scompaginato, e pur essendo mistero non è mistero per tutti. Neanche la modalità è univoca: precipitare giù da una scogliera, ma anche forse dover temere il pericolo proveniente dalle amate mandorle. La commissaria, che ha un marito-non marito (nel senso che lei e suo marito sono ormai due single che condividono cene con troppi carboidrati), non sopporta più ormai neanche il nome del consorte, evocativo di legami mal tenuti (si chiama Laccio).
Intanto, da commissaria, si aggira lungo i contorni del mistero, scivolando e rialzandosi tra un piccolo depistaggio e l’altro. La verità è ben nascosta, e per trovarla serve proprio qualcuno che, come Maria, anche in casa indossa, in odio alle ciabatte, un paio di sandali color balena.
Piovono mandorle
Roberta Corradin
Piemme (480 pp., 18,50 euro)