Vite scritte

Alessandro Litta Modignani

Recensione del libro di Javier Marías edito da Einaudi (218 pp., 19 euro)

Pubblicato una prima volta nel ’92 e in edizione ampliata sette anni più tardi, questo Vite scritte è una splendida galleria dei più importanti romanzieri dell’8-900, selezionati in base a un singolare criterio: gli autori di cui si narra sono tutti morti, e nessuno è spagnolo. Tante storie di scrittori e scrittrici – ma non di libri: le opere fanno appena capolino nel testo, concentrato sulle biografie dei vari autori. Marías narra episodi noti e meno noti, fatti pubblici e privati, vizi e virtù, aneddoti ameni e particolari scabrosi.

L’impianto originario del libro era dedicato a venti scrittori, in seguito l’autore ha aggiunto altre sei “Donne fuggitive” e una bella rassegna di ritratti: dalle pagine del volume i grandi romanzieri fissano il lettore con sguardo enigmatico. Di tutti Marías parla in tono scherzoso e leggiadro, anche se confessa di non nutrire “alcun affetto” per tre di loro: Joyce, Mann e Mishima. Il primo scriveva alla moglie Nora lettere oscene, missive autenticamente pornografiche in cui “confessa di essere venuto (parole sue) mentre le scriveva porcherie. Senza dubbio uno dei pochi scrittori che hanno ottenuto con la loro penna gratificazioni così intense”. Le righe che seguono sono ancor più pungenti: Marías spiega che l’autore dell’Ulisse, “insomma, era un coprofilo”.

Aneddoti curiosi e rivelazioni sorprendenti si susseguono a ritmo incalzante e divertito. Scopriamo così che Faulkner si recò solo cinque volte a teatro in vita sua, di cui tre per vedere l’Amleto; che Stevenson con gesto incosciente appiccò il fuoco a un bosco per poi darsi a precipitosa fuga, poiché “non esiste uomo autenticamente nobile che non si sia comportato da mascalzone almeno una volta nella vita”; che la nonna di Turgenev uccise un servo davanti al nipotino, dapprima abbattendolo con una bastonata, quindi sedendoglisi sulla faccia con un cuscino fino a soffocarlo.

Thomas Mann annotava nel diario con scrupolo noiosissimo i suoi problemi gastrici e intestinali (oltre ovviamente all’attrazione per i giovani imberbi). Anche Rilke non riscuote molte simpatie in Marías, che lo descrive come un parassita, pigro e profittatore, pur considerandolo il più grande poeta del Novecento.

I capitoli più interessanti, manco a dirlo, sono quelli che riguardano le donne, in particolare Madame du Deffand e la sua protetta Julie de Lespinasse, che la ricambierà portandogli via molti frequentatori e amici, fra cui D’Alembert. “Si è circondati d’armi e di nemici, e quelli che chiamiamo amici sono quelli da cui non si teme di essere assassinati, ma che lascerebbero fare agli assassini”.

Marías, che oggi è uno degli scrittori più affermati del mondo, spende parole comprensive e affettuose nei confronti di Oscar Wilde, mentre è tranchant nei confronti di Yukio Mishima, della sua vanità e di quella morte così spettacolare e narcisistica: “I posteri hanno sempre il vantaggio di godersi le opere degli scrittori senza la seccatura di doverli sopportare”.

 

Vite scritte
Javier Marías
Einaudi, 218 pp., 19 euro

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